Il cinismo è diventato una delle malattie più diffuse negli ultimi trenta anni nel mondo degli affari. Lo vedo ogni giorno, in ogni riunione e in ogni azienda. Non è più solo una caratteristica del singolo individuo, ma un atteggiamento che, purtroppo, sta infettando intere organizzazioni. È come se ci fossimo tutti arresi all’idea confusa che la determinazione, la concentrazione, l’orientamento ai risultati, tralaltro elementi determinanti per generare profitto, siano sinonimi di cinismo.
I cinici sono convinti che gli esseri umani siano mossi unicamente da interessi personali. Per loro, le relazioni tra le persone si riducono a una competizione crudele, quasi darwiniana, in cui per avere successo bisogna necessariamente superare o schiacciare chi ci sta intorno
Molti di noi seguono (o hanno seguito) questa triste logica. Più della metà dei genitori ritiene che, per avere successo, i figli debbano concepire il mondo come duro e pericoloso. In tutte le multinazionali, Io so e ho le prove, viene insegnato che “le aziende devono competere non solo con i loro concorrenti, ma anche con i fornitori, i dipendenti e le autorità di regolamentazione”. Nella azienda dove ho lavorato per 23 anni, venivano celebrati e troppo spesso emulati leader brillanti, ma tossici.
Ma quanto costa realmente questa mentalità? E quali sono le sue conseguenze?
Quando entro in un’azienda come consulente, la prima cosa che percepisco non sono i numeri del business (tralaltro sempre scarsi), ma il clima interno. Il cinismo si manifesta in diverse forme, ma tutte hanno una matrice comune: azioni di tipo dominante, come l’intimidazione dei colleghi o l’adulazione dei superiori, tendono a rafforzare il potere delle persone sul posto di lavoro. In tal caso mi trovo spesso a confrontarmi con imprenditori che hanno smarrito la fiducia nei loro team o nei loro progetti. Il cinismo è contagioso, e si diffonde come un virus che rallenta ogni processo decisionale e operativo. I leader, colpiti da questa mentalità, iniziano a vedere i propri collaboratori non come risorse preziose, ma come nemiciostacoli da superare. Questo crea un circolo vizioso, in cui la mancanza di fiducia reciproca porta a una performance sempre più bassa.
La via d’uscita, però, esiste. Non è facile, ma è possibile.
Innanzitutto il cinismo non è una condanna a vita. Le ultime ricerche al riguardo suggeriscono che solo un quarto di esso è genetico, il che significa che l’ambiente sociale modella in modo significativo la nostra disponibilità a dare e ottenere fiducia. Grazie alle giuste abitudini, i “cinici in divenire” (quelli che diventano cinici perché tutti i suoi capi lo sono) possono costruire una nuova mentalità e tendere alla connessione.
In secondo luogo, abbattete la “cultura del genio”, la valutazione positiva (il resto è nulla) solo del talento che produce performance nettamente sopra la media: secondo le ultime ricerche sulla cultura organizzativa, questa mentalità erode la fiducia e blocca le persone in una lotta competitiva che a lungo andare può danneggiare molti di loro. Anche lo stesso talento che rischia di essere isolato. E professate la “cultura dell’aiuto” in cui i capi incoraggiano i loro team ad aspettarsi che tutti chiedano e diano sostegno agli altri, e vengono premiati non solo per le prestazioni individuali, ma anche per il modo in cui si sono mostrati verso i loro colleghi. E, potrà sembrare strano, ma i risultati della ricerca dimostrano le performance migliori sono nelle aziende in cui si è sviluppato questo sentiment comunitario.
La mia esperienza mi ha insegnato che il cinismo può essere sconfitto, ma solo se affrontato con decisione. Non possiamo aspettarci che le cose cambino da sole. Come consulenti, come imprenditori, come manager, abbiamo la responsabilità di invertire la rotta. Non solo per il bene dell’azienda, ma per il benessere nostro e di chi ci lavora.
Un’azienda che sa vedere al di là del cinismo e investe nelle persone crea una cultura positiva che si riflette anche nei risultati economici e finanziari. Quando c’è fiducia, rispetto e un clima di apertura, l’azienda diventa più agile, capace di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato.