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“Non consiglierei a un 20enne di proseguire con la pallanuoto, meglio studiare o lavorare”: Alessandro Di Somma, un’amarezza di Serie A

“Oggi non consiglierei ad un ventenne di proseguire con la pallanuoto, anche se in Serie A. Se un compagno mi dicesse continuo a studiare o vado a lavorare, non potrei biasimarlo. È difficile che i giocatori delle squadre di metà classifica in giù del massimo campionato possano permettersi di vivere solo di questo sport”. Alessandro […]

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“Oggi non consiglierei ad un ventenne di proseguire con la pallanuoto, anche se in Serie A. Se un compagno mi dicesse continuo a studiare o vado a lavorare, non potrei biasimarlo. È difficile che i giocatori delle squadre di metà classifica in giù del massimo campionato possano permettersi di vivere solo di questo sport”. Alessandro Di Somma ha 36 anni, gioca da diciassette campionati in A1, con l’eccezione di 10 presenze nella serie inferiore la stagione interrotta per il covid. Dal 2021 è il centrovasca di Quinto, il suo debutto in A1 è nel lontano 2005. Insomma un giocatore di grande esperienza, che ha sempre avuto il coraggio di esporsi. Alessandro proviene da una famiglia di pallanuotisti. Il fratello maggiore Roman ha giocato tanti anni nel Bogliasco, il più giovane dei tre Edoardo è anche il più forte, attaccante del Ferencváros e della nazionale italiana con cui si è laureato campione del mondo. “Noi pallanuotisti siamo dei pazzi, per giocare a certi livelli serve una passione viscerale, per noi l’acqua è quasi un bisogno, l’ambiente è bello e sano. Io quando entro in piscina poi ne esco sempre come una persona migliore”.

Come riuscite a coniugare lavoro e sport?
Ci alleniamo come dei professionisti, molto e duramente. Questo è uno sport difficile, non si può fare altrimenti. Lo si fa ad orari assurdi, in pausa pranzo e all’ora di cena: facciamo sette allenamenti settimanali e poi la partita nel weekend.

Che lavori fate oltre alla pallanuoto?
Un po’ di tutto. Un mio compagno è personal trainer che alla mattina alle sette è già con dei clienti, c’è chi studia. Alcuni presidenti dei club aiutano i propri tesserati con impieghi però totalmente slegati dalla pallanuoto. No, magari operai in fabbrica non ce ne sono. Ripeto, la pallanuoto è difficile. Ma anche se la testa non è fresca, rischi di farti male. E comunque bisogna dire una cosa: se questi ragazzi non lavorassero, sarebbe ancora peggio, poi cosa farebbero? A 35 anni ti tocca ripartire da zero.

Lei cosa fa?
Io sono laureato in Economia e da anni faccio l’imprenditore: sono socio di due aziende, una di ristoranti e un’altra di costumi da bagno. Sono impegnato tantissime ore, lo stress è parecchio, ma mi piace quello che faccio.

Altrove la situazione è diversa?
Mio fratello più piccolo gioca a Budapest ed è professionista, certo se avessi avuto il suo talento avrei forse evitato di fare altro anch’io. In Ungheria i pallanuotisti sono al livello dei calciatori, anche come popolarità. Lì lo stato aiuta molte a livello economico, perché è lo sport nazionale.

In Italia c’è qualcosa che si potrebbe fare?
Ritorno alla tv pubblica, un marketing più moderno, l’organizzazione di tornei con formule diverse dalle attuali… soprattutto una ricerca da parte dei club di una propria sostenibilità nella quale si riesca ad impegnare i propri giocatori non solo in piscina, ma anche in attività collaterali non completamente fuori da questo mondo. Le società devono trasformarsi in aziende, creando valore in modo da dare un impiego ai tesserati con contributi pagati, all’interno di attività parallele alla pallanuoto: oltre alla piscina andrebbe creato un circolo con bar, negozi e possibilità di fare altri sport. Non vorrei dunque un professionismo puro nella pallanuoto, ma un movimento in cui club si autosostengono.

Una volta chiusa la carriera da giocare lei cosa vorrà fare?
Rimarrò nell’ambiente perché la pallanuoto mi piace troppo. Proverò a fare il dirigente per tentare di realizzare quanto detto sopra.

(foto di repertorio)