di Nadia D’Agaro
Ha vinto un prestigioso premio fotografico, il Siena International Photo Awards, un fotografo spagnolo che si occupa di documentare lo sfruttamento degli animali: Aitor Garmendia.
La cosa mi riguarda doppiamente: sono vegana, e sono una fotografa dilettante, non professionista. Guardo dunque un momento il lavoro dell’autore con l’occhio dell’appassionata di fotografia, occupandomi non della foto vincitrice, ma del lavoro che Garmendia produsse nel 2021 per il World Press Photo, premio di fotogiornalismo abbastanza dibattuto e discusso fra gli appassionati.
Qual è il problema? Il problema è che sembra brutto dare un premio a chi ha scattato la foto più “scioccante“: la fotografia non è voyeurismo, è arte. E il giornalismo ha a che vedere con la realtà e la verità dei fatti, non con la propaganda. La potenza delle immagini è notoria: una per tutte, la foto della bambina nuda che scappa da un bombardamento in Vietnam. Foto che ha cambiato l’opinione pubblica. Peccato che era un ritaglio. Si vede solo il gruppo di bambini, non si vede il folto gruppo di fotografi che li stanno accompagnando, loro vestiti, per “vendere” la foto ai giornali. E’ un lavoro, il fotoreporter, non possiamo criticarli per questo. E nemmeno si può dire che la foto ritagliata sia un fake: in fondo, che fosse presente tanta gente a guardare la scena, non cambia la scena.
Un pochino diverso è il dibattito nato riguardo la foto dello svedese Paul Hansen, immagine del funerale di due bambini palestinesi uccisi da Israele nella striscia di Gaza nel 2013: qui il premio è stato criticato, perché la foto era, a quanto pare, un poco “post-prodotta”. Come se a una foto di una bambina che corre vestita venissero tolti i vestiti? Assolutamente no, nulla di così falso, una falsificazione del genere non sarebbe mai stata ammessa, solo un’aggiustata alle luci, con un software digitale di uso comune.
“Pratiche accettabili della professione”, secondo la giuria e anche secondo me. Nella mia opinione, premio meritato e polemica forse funzionale ad attirare l’attenzione, alla fine, sul premio stesso. La forza di questa immagine sta nei due corpicini morti, senza bare, senza fiori, corpicini portati in braccio da parenti. La rassegnazione di una morte inevitabile, dovuta all’età, non è presente: l’accusa di una morte ingiusta e la rabbia impotente dei parenti è palese agli occhi dell’osservatore.
Veniamo alle foto con cui Aitor Garmendia partecipò al World Press Photo nel 2021, guadagnando il terzo premio per l’ambiente. Non è una foto singola ad essere premiata, ma un insieme di foto che mostrano gli interni e gli esterni di un allevamento intensivo di maiali in Spagna. Le foto vanno dall’ottobre 2019 all’agosto 2020 e mi soffermerò su due foto.
La prima mostra il cadavere di un suino, di notte, all’esterno di un allevamento. La didascalia dice: “Gli investigatori filmano un recinto per l’ingrasso in un allevamento di maiali in Castilla-La Mancha. A febbraio 2020, quando sono entrati per la prima volta, gli investigatori hanno trovato carcasse in decomposizione. Mesi dopo, durante una seconda visita, è emerso che i corpi non erano stati rimossi.”
La seconda mostra delle scrofe in gabbia, dicembre 2019. La didascalia dice: “Le scrofe sono in gabbia di gestazione, in un allevamento di suini in Aragona. […] Nell’ottobre 2020, l’iniziativa dei cittadini europei ha consegnato alla Commissione europea una petizione firmata da oltre 1,5 milioni di cittadini, che chiedeva il divieto dell’allevamento in gabbia.”
A questo punto ho due osservazioni.
Prima foto: le misure di biosicurezza negli allevamenti intensivi non sono mai state garantite, e ora la Psa (Peste Suina Africana) è presente in molti focolai.
Seconda foto: è palese che il “benessere animale” è una menzogna e un insulto ai cittadini che chiedono un minimo di ritegno nell’allevamento intensivo. L’ICE End The Cage Age di cui parla la didascalia è ancora ferma. A voi considerazioni e commenti.