Le opposizioni attaccano il governo alle prese con l’apertura dei centri per migranti in Albania, accusandolo di sperperare i soldi dei contribuenti per quello che, assicurano, sarà un flop annunciato e proprio mentre si annuncia una manovra di tagli e sacrifici. Ieri la ong tedesca Sea Watch ha rincarato su X: “Il Governo Meloni degli autopronunciati patrioti spende centinaia di milioni di euro dei contribuenti per deportare e incarcerare qualche migliaia di migranti in Albania. Forse le tasse degli italiani possono essere spese meglio, per accogliere e includere, anziché respingere”. Il nervo è scoperto e non è solo una questione di soldi, tanto che la premier Giorgia Meloni ribatte, alle 11 di sera, con un altro tweet: “Che scandalo! Un governo che – con un mandato chiaro ricevuto dai cittadini – lavora per difendere i confini italiani e fermare la tratta di esseri umani, attraverso azioni concrete e accordi internazionali”. La risposta segue le dichiarazioni del suo sottosegretario, Alfredo Mantovano, e del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che invece attaccano i giudici, quasi a mettere le mani avanti per quello che potrebbe avvenire in Albania non appena i centri, inaugurati venerdì di fronte alla stampa, accoglieranno i primi migranti, forse già in settimana. Ma tutti, da Meloni ai suoi ministri, si guardano bene dal citare e commentare il pronunciamento della Corte di giustizia dell’Unione europea che impedisce di fatto il trattenimento dei richiedenti asilo nei centri albanesi.

Perché il problema dei soldi, gli oltre 700 milioni di euro dei contribuenti che per le opposizioni andranno buttati, dipende da questioni tutte giuridiche. Che tuttavia il governo ha già mostrato di non voler affrontare alla luce del sole quando ha ritirato i ricorsi in Cassazione contro i decreti dei giudici di Catania che non avevano convalidato i trattenimenti nel centro di Pozzallo per le stesse procedure accelerate in frontiera di esame delle domande d’asilo che si vuole fare in Albania. Con la rinuncia è saltato anche il rinvio alla Corte di giustizia Ue che, se non su tutto, avrebbe potuto esprimersi su alcune presunte incompatibilità tra le norme del governo e il diritto dell’Unione. Purtroppo per il governo, il 4 ottobre i 15 giudici della grande sezione della Corte Ue, ognuno nominato da un diverso Stato membro, hanno risposto a un giudice della Repubblica Ceca che ha chiesto lumi sui Paesi di origine designati come “sicuri”. Per sottoporre un richiedente alle procedure accelerate in frontiera, dice il diritto Ue in base alla sentenza, questo deve provenire da un Paese che possa considerarsi sicuro in tutto il suo territorio e per tutti i suoi cittadini. Cosa che non è per 15 dei 22 Paesi che il governo italiano ha inserito nella sua lista dei Paesi “sicuri”, compresi tutti quelli da cui proviene la maggior parte dei migranti che si vorrebbero portare in Albania. Come già hanno fatto la settimana scorsa i giudici di Palermo, anche il competente Tribunale di Roma sarà tenuto a valutare le convalide dei trattenimenti nei centri albanesi in base alla pronuncia della Corte Ue, liberando così tunisini, egiziani e non solo e costringendo il governo a portarli in Italia. Altri viaggi, altre spese, senza nulla stringere.

Non è un ostacolo di poco conto. Come in Italia, anche nei centri in Albania il trattenimento dei richiedenti ai fini delle procedure in frontiera andranno convalidati entro 48 ore dai giudici di Roma, che non possono certo sottrarsi al pronunciamento della Corte Ue. Nemmeno uno Stato può sottrarsi, ma il governo Meloni preferisce tirare dritto evitando di commentare la Corte Ue. Come fa invece con le mancate convalide dei giudici di Palermo che, nonostante si basino sulla sentenza europea, definisce ancora una volta “ideologiche”, con tanto di giornali che rilanciano, da Libero al Giornale, al grido di “toghe rosse“. “Emerge una tendenza della magistratura di settore su posizioni che non condividiamo proprio in punto di diritto“, ha dichiarato Piantedosi a La Stampa. Spiegando che “in Italia abbiamo anticipato la realizzazione di un sistema e l’applicazione di regole che diventeranno diritto europeo, obbligatorio, a partire dal 2026”. Appunto, dal 2026. Fino ad allora, in materia di designazione di Paesi sicuri vige la direttiva 32 del 2013 che non ammette di applicare le procedure accelerate in frontiera a chi viene da Paesi parzialmente sicuri. Ma nemmeno il sottosegretario Mantovano entra nel merito, preferendo parlare dei bastoni fra le ruote che una “magistratura ideologizzata” mette tra le ruote del governo. “Quando per esempio nella disciplina dei migranti un giudice dice e scrive nei provvedimenti che deve essere il giudice l’arbitro della decisione dei paesi cosiddetti sicuri, mi pare che sia un’entrata a piedi uniti in un’area che non è la propria, perché la determinazione dei paesi sicuri viene fuori da un procedimento abbastanza complesso che spetta al governo”.

Difficile immaginare che Piantedosi e Mantovano, un prefetto e un magistrato, non conoscano la gerarchia delle fonti normative. Che i giudici italiani non possono prescindere dal diritto dell’Unione per dettato costituzionale, come non possono sottrarsi all’interpretazione delle norme fornita dai giudici di Lussemburgo. Per questo la comunicazione del governo sembra più un modo per mettere le mani avanti e anticipare quello che, con tutta probabilità, sarà l’ennesimo attacco alla magistratura sulla questione migranti. Come farà il governo a superare lo scoglio della sentenza Ue che di fatto impedisce di trattenere per procedure in frontiera, in Albania come in Italia, migranti provenienti da Bangladesh, Tunisia, Egitto, cioè dai principali Paesi d’origine per numero di sbarchi? Non è l’unica domanda, ma il problema è imminente. Eppure di questo il governo non parla. Ha ragione Meloni quando dice di aver ricevuto un mandato chiaro dai cittadini, perché tanti hanno votato il governo per una politica più decisa di contrasto all’immigrazione irregolare. E qualunque cosa se ne possa pensare, l’esecutivo è stato attivo in questo senso, incassando un’importante riduzione degli sbarchi rispetto a quelli dei due anni precedenti. Quanto ai centri in Albania, però, visto l’ingente esborso di risorse pubbliche e il rischio che tutto salti per manifesta incompatibilità col diritto vigente, servirebbe chiarezza. Perché nessun cittadino può dare al governo il mandato di violare il diritto dell’Unione europea, né la Costituzione che impone il rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”. Né alcun governo può illudersi di averlo ricevuto.

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