Il giornalista si racconta al “Corriere”, e sui suoi talk dice: “'Dritto e rovescio' è la più seguita dai ceti popolari, dagli operai. Che votano un po’ da tutte le parti”
“Farmi prete? Sì, ci avevo pensato. Mi attraeva quel clima di silenzio, di studio, di non dispersione”. Intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere, Paolo Del Debbio rivela i suoi sogni di ragazzo. Del resto ha studiato un anno dai benedettini a Roma e, tra i 16 e i 18 anni, ha trascorso due anni – che definisce “i più belli della mia vita” – nel seminario arcivescovile di Lucca. Ad allontanarlo da quel proposito così spirituale è stata la dimensione terrena: “Ho sentito il richiamo dell’amore fisico. E per tutta la vita mi sono dibattuto tra le due cose”.
La vita di Del Debbio ha preso una strada diversa, e oggi tiene compagnia ai telespettatori con i suoi talk show politici in onda su Rete 4. A chi osserva che siano programmi di destra risponde: “La mia trasmissione ‘Dritto e rovescio‘ è la più seguita dai ceti popolari, dagli operai. Che votano un po’ da tutte le parti”. Eppure il programma, come altri in onda sulla stessa rete, è accusato di aver spianato la strada all’ascesa di Salvini e Meloni: “Mia mamma diceva: la farina si fa col grano che c’è” replica il giornalista. “Io ho fatto talk-show politici. Si poteva non dare spazio a Salvini in quella fase di crescita? Si poteva non dare spazio alla Meloni, che peraltro se lo è fatto da sola? Mi hanno accusato pure di favorire il grillismo; ma come potevo non intervistare Di Maio e Di Battista? I movimenti politici vanno colti, come avrebbe detto Alberoni, allo stato nascente. Ho avuto ospite la Schlein, che si è trovata benissimo”.
Nel corso dell’intervista viene ricordato anche un suo sfogo tv, quando disse: “Sul fascismo a me non dovete rompere i co****ni, sono figlio di un deportato”. A tal proposito fa sapere: “Possono dirmi di tutto, possono attaccare le mie trasmissioni, non ho mai reagito alle critiche; ma sul fascismo no. Per me l’antifascismo e il rispetto del popolo ebraico non vengono da un’idea astratta ma dall’esperienza del mio babbo a Luckenwalde”. Del Debbio attribuisce alla sua famiglia una formazione in tal senso: “Avevo sei anni. Grazie ai racconti di papà e di nonna, che aveva aiutato i partigiani, ho capito, fin da prima dell’età della ragione, quale fosse la parte che aveva ragione”.