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“Col rap è più difficile distinguere cos’è giusto da cos’è sbagliato. I videogiochi tra le mie fonti di ispirazione”: Artie 5ive volto di Call of Duty: Black Ops 6

L’artista è il protagonista del trailer della campagna italiana “Caccia alla verità”, a testimonianza dell’oramai stretta vicinanza che lega il rap con i videogiochi

Gli appassionati non stanno più nella pelle. Il 25 ottobre uscirà Call of Duty, Black Ops 6 gioco che, come anche i precedenti della saga, ha tutte le carte in regola per far divertire milioni di videogiocatori. COD (Call of Duty) non strizza l’occhio solamente ai gamer. Il bacino di utenza è ben più ampio e, tra una console e l’altra, arriva anche nelle mani dei rapper. Artie 5ive è uno di questi. L’artista di Bicocca (Milano) è il volto principale della campagna italiana “Caccia alla verità”, a testimonianza dell’oramai stretta vicinanza che lega il rap con i videogiochi. Per l’occasione abbiamo incontrato lo stesso Artie 5ive che, ad oggi, conta 8 dischi di Platino e 300 milioni di streaming su Spotify nonostante i soli 24 anni.

Com’è nata la collaborazione con Call of Duty?
Sono fan da sempre della saga, in particolare di Black Ops e di Zombie. Mi avevano detto sarebbe tornata la modalità Zombie e ho scoperto avrebbero aggiunto nuovi controlli. È una collaborazione in linea con i miei interessi.

Qual è il tuo primo ricordo inerente al mondo del gaming?
Avevo quattro anni, mio papà e mio fratello si erano presentati in casa con la PlayStation 1. Dopo ho giocato a Dragon Ball sulla PS2 e, con l’online, ho scoperto COD. Il primo era Modern Warfare. A Black Ops non giocavo ancora perché c’erano gli zombie che mi facevano paura. Dopo ho giocato a tutta la storia di COD e mi è subito piaciuto. Perché è sì un videogame di guerra ma è anche un thriller, spionaggio, un universo che a me piace molto. Mondo che, unito a Zombie ed a World War II (Seconda Guerra Mondiale), mi ha fatto impazzire.

Quanto e come i videogiochi si intrecciano con il tuo percorso artistico?
Per la mia musica la fonte d’ispirazione è il mondo in cui vivo. Però ci sono, molto spesso, riferimenti a cartoni che guardavo da piccolo o ai videogiochi di adesso. Anche dalla Marvel prendo ispirazione.

Nei videogiochi come Call of Duty, l’azione ed il combattimento sono uno dei punti centrali dell’intera esperienza di gioco. Pensi ci sia una responsabilità da parte degli artisti e, in questo caso, degli sviluppatori di videogiochi, nel modo in cui vengono rappresentati questi temi?
Quando ero piccolo non c’era questo tipo di responsabilità perché eravamo tutti più legati a quello che era la famiglia, a chi era la figura di riferimento che ti diceva cosa fare e cosa no. Adesso è diverso perché, dove manca l’educazione di un genitore, può subentrare quello che vedi in un videogioco perché nessuno ti insegna la differenza. Allo stesso tempo il videogioco, così come la musica, rappresenta una valvola di sfogo. Cerco di far capire ai ragazzi che se mi devono prendere come esempio di farlo a livello artistico, per migliorare la propria vita. Non prendere esempio da tutto quello che dico nelle canzoni.

Quanto è sottile la linea tra finzione e realtà?
Quando muori nel videogioco continui a giocare, quando muori nella vita reale è finita lì. Per i videogiochi e per il cinema rimane diverso perché c’è quella linea di finzione, mentre per la musica – essendo che raccontiamo la vita reale – è più facile l’emulazione e viene più difficile distinguere cos’è giusto da cos’è sbagliato. Per gli sviluppatori dico di continuare a fare i giochi di paura, raccontando anche situazioni in modo tale da far immedesimare gli utenti in prima persona, sempre con il fittizio che possa essere ben definito.

Come rispondi a chi pensa che i videogiochi e la musica rap possano avere un impatto negativo sulle nuove generazioni?
Il rap è il riflesso di quello che succede. Se il rap parla di certe situazioni è perché le generazioni che lo fanno e lo ascoltano vivono in un certo modo. Il lavoro dev’essere fatto dal principio, fin dall’educazione in famiglia. I genitori dovrebbero chiedere ai figli ‘cosa ti piace di COD, cosa ti piace del rap?’. A quel punto, da genitore, inizi a darti delle risposte. Poi ognuno ha i suoi motivi del perché gioca. Io lo faccio anche per stare con gli amici. Nella musica si può fraintendere ed emulare.

Ora rapper, in futuro diventerai attore?
Sarebbe bello. La mia performance nel trailer era la prima volta. Abbiamo provato le scene più volte per avere tutto perfetto. C’era la possibilità di fare il trailer e ho sempre voluto recitare, è una cosa che mi piace. Mi hanno messo subito nell’ambientazione con staccionate e cinema abbandonato e mi son sentito dentro al gioco. Non interromperei la carriera da artista per fare l’attore perché mi sentirei comunque a mio agio nel rappresentare sempre le sfaccettature di me stesso. Recitare richiede di entrare totalmente in un personaggio cosa che, ad oggi, non saprei fare.