Il processo Ruby non finisce mai. A 14 anni dai fatti le ex Olgettine (cosiddette) restano ancora sul banco degli imputati e si celebrerà un nuovo appello per 22 persone, accusate di corruzione in atti giudiziari. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione pronunciata dal tribunale di Milano nel febbraio 2023. Ci sono i presunti corrotti in qualità di testimoni (22), non c’è più il presunto corruttore, l’ex premier Silvio Berlusconi, anche lui assolto in primo grado come gli altri e poi morto il 12 giugno. La decisione della Suprema Corte non è solo un ribaltamento della sentenza di primo grado, ma rischia di essere una sconfessione della tesi in forza della quale il collegio presieduto da Marco Tremolada aveva orientato il processo.

L’accusa, infatti, è quella che i testimoni abbiano detto il falso su quanto accadeva alle serate organizzate nella villa di Arcore dall’allora capo del governo e leader del centrodestra. In cambio del silenzio, secondo la Procura, avrebbero ricevuto soldi e case. Tra loro ci sono Barbara Guerra, Francesca Cipriani, le sorelle Concetta ed Elenora De Vivo, Marysthell Polanco, la stessa Karima El Mahroug, che tutti conoscono ormai come Ruby. In questo quadro è diventato determinante – per l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” – il nodo dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni delle ex giovani ospiti delle “cene eleganti”. Come spiegò dopo quella sentenza la procuratrice aggiunta di Milano, Tiziana Siciliano, il tema era “se hanno mentito nella veste di testi o di soggetti che avrebbero dovuto avere un’altra qualifica, che non sarebbero stati tenuti a dire la verità”. E quindi quei 22 dissero il falso come semplici testimoni o come indagati? Per il collegio presieduto da Tremolada doveva valere la seconda ipotesi e quindi non avevano l’obbligo di dire la verità. Così spiegò il tribunale in una nota: “La corruzione in atti giudiziari sussiste solo quando il soggetto corrotto sia un pubblico ufficiale. Per giurisprudenza costante, la persona che testimonia assume un pubblico ufficio e le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito che il giudice chiamato ad accertare la fattispecie correttiva deve verificare se il dichiarante che si assume essere stato corrotto sia stato o meno correttamente qualificato come testimone“. Il riferimento era al verdetto Mills (altro processo in cui Berlusconi è stato imputato per corruzione in atti giudiziari e poi prescritto, ndr) che – paradosso dei paradossi – era stato citato in particolare da uno dei giudici che si erano occupato durante le fasi preliminari del processo proprio per prendere la decisione opposta: ovvero considerare le giovani testimoni quindi con la qualità di pubblico ufficiale (in quanto testimone che parla davanti alle autorità giudiziaria) che permette di integrare il reato di corruzione in atti giudiziari. Prima della inattesa conclusione del tribunale di Milano di oltre un anno e mezzo fa, almeno 14 giudici avevano stabilito che le ragazze erano da ritenere testimoni nel momento in cui parlavano e – nel frattempo – ricevevano denaro (2500 euro e l’uso di alcune abitazioni) da Berlusconi come “risarcimento per il discredito” sulla loro reputazione perché partecipanti alle feste di Villa San Martino.

Di fronte alla decisione sorprendente del collegio milanese la Procura aveva deciso di non ricorrere in Corte d’appello, ma rivolgersi direttamente alla Cassazione con un ricorso “per saltum”. Davanti alla Suprema Corte il procuratore generale Roberto Aniello aveva spiegato che, seppure l’audizione delle imputate in qualità di testimoni sia stata “illegittima, in quanto esse erano raggiunte da indizi di reato, ciò non incide sulla sussistenza del reato di corruzione in atti giudiziari, che rimane configurabile in quanto le funzioni di pubblico ufficiale sono state concretamente esercitate“. Il pg ha poi citato una serie di sentenze della Cassazione secondo le quali – a suo dire – si è sempre ritenuto che la qualifica di testimone e “dunque di pubblico ufficiale, si acquisisce al momento in cui il giudice dispone l’ammissione della testimonianza; qualora via sia stata una preventiva autorizzazione alla citazione, questa anticipa l’assunzione della qualità di testimone” e in questo caso ciò è avvenuto “il 23 novembre del 2011, data dell’ordinanza di ammissione delle prove nel processo Ruby uno”, cioè quello principale per prostituzione minorile e concussione che vide Berlusconi condannato in primo grado a 7 anni e poi assolto in Cassazione.

Nelle motivazioni del Ruby bis (in cui finirono condannati Emilio Fede e Nicole Minetti per induzione e favoreggiamento della prostituzione) veniva ricostruita la riunione avvenuta ad Arcore il 15 gennaio 2011, quando – dopo le perquisizioni del giorno precedente – molte delle ragazze ospiti alla serate vennero convocate a Villa San Martino. “Tutti i soggetti partecipanti alla riunione e, quindi, anche tutte le ragazze, sono gravemente indiziati” sostenevano i magistrati. Le ragazze, infatti, “che poi rendevano false testimonianze (…) in qualità di testimoni e, quindi, pubblici ufficiali, ricevevano denaro ed altre utilità, sia prima che dopo aver deposto come testimoni”. Berlusconi viene indicato dai giudici come “colui che elargiva (e tuttora elargisce) le somme” alle ragazze. Peraltro le ragazze ospiti alle serate di Arcore “rendevano” in aula “dichiarazioni perfettamente sovrapponibili, anche con l’uso di linguaggio non congruo rispetto alla loro estrazione culturale”. I giudici sottolineavano, dunque, la “ricorrenza” nelle deposizioni “di frasaggi identici” e “terminologie” di cui le giovani “a precisa domanda” non “sapevano riferire il significato”. Conclusioni a cui i giudici erano arrivati a fine del dibattimento successivamente alla primavera del 2012, periodo in cui, secondo il collegio che ha assolto gli imputati del Ruby ter, le testimoni dovevano assumere la veste di indagate. Perché se i giudici del processo Ruby e del Ruby bis avessero individuato quelle dichiarazioni incriminanti per le testimoni, come prevede la legge e le sentenze citate, avrebbero dovuto interrompere la testimonianza, avvertire il teste che a quel punto avrebbe il diritto di tacere e avere l’assistenza legale. Ma in quel momento le dichiarazioni era solo “meri indizi”. E dunque non era obbligatorio indagare subito i testimoni.

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