C’è chi è stato costretto a entrare ammanettato in edifici dove potevano nascondersi trappole esplosive, chi ha dovuto aprire botole o spostare oggetti per scovare i tunnel di Hamas, col pericolo di saltare in aria, chi è stato usato come scudo per permettere l’avanzata dei soldati israeliani. L’ultima inchiesta del New York Times, che ha raccolto le testimonianze di diversi prigionieri palestinesi e le ammissioni anche di militari israeliani, svela pratiche illegali e inumane condotte dai soldati dello Stato ebraico, spesso in concerto con agenti dell’intelligence, nei confronti della popolazione di Gaza. Accuse, quelle del quotidiano americano, che molto assomigliano a quelle che il governo di Tel Aviv ha mosso fin dal 7 ottobre 2023 nei confronti di Hamas, accusato di utilizzare i civili come protezione dagli attacchi delle Forze di Difesa Israeliane.

Non è la prima volta che l’esercito di Tel Aviv ricorre a pratiche del genere, assolutamente vietate dal diritto internazionale. Lo aveva già fatto in Cisgiordania e a Gaza negli Anni 2000. E la metodologia è simile: prendere prigionieri palestinesi e costringerli a dirigersi in presunti nascondigli di Hamas, scovare trappole esplosive esponendosi al rischio di saltare in aria, introdursi nei tunnel del partito armato palestinese o vagare per le città con in dosso le mimetiche israeliane per scovare i rifugi del Movimento Islamico di Resistenza una volta che i miliziani aprono il fuoco per ucciderli. Tutto questo indipendentemente dal presunto coinvolgimento delle cavie in attività legate a Hamas.

Gli ufficiali impegnati sul terreno hanno tentato di convincere i soldati semplici a utilizzare questo metodo di ricognizione sostenendo che gli uomini impiegati fossero dei terroristi e che quindi le loro vite valessero meno di quelle di un israeliano. Affermazioni false e che, comunque, non hanno convinto alcuni militari della bontà di tali pratiche, tanto che sette di essi le hanno ritenute talmente barbare da parlarne con l’associazione di ex militari che denuncia i crimini delle Idf, Breaking the Silence, e poi con i giornalisti americani.

Oltre a loro, a parlare sono anche le vittime di questi soprusi. E le storie raccolte sono impressionanti. Come quella di Shubeir, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 18 anni. Per mesi si è nascosto con la famiglia, ma quando è stato catturato e trattenuto per dieci giorni è stato costretto a camminare ammanettato tra le rovine vuote della sua città, Khan Younis, alla ricerca di esplosivi. Per evitare di farsi saltare in aria, i soldati lo hanno fatto andare avanti, ha raccontato. “I soldati mi hanno mandato come un cane in un appartamento pieno di trappole esplosive – ha detto al Nyt – Pensavo che questi sarebbero stati gli ultimi momenti della mia vita”. Shubeir è stato catturato dopo che l’esercito ha invaso il suo quartiere ai margini di Khan Younis dopo aver ordinato ai residenti di evacuare. Ma la famiglia Shubeir aveva deciso di aspettare l’incombente avanzata israeliana nel suo appartamento al quarto piano, così si sono presto trovati nel bel mezzo di una battaglia. Le granate hanno colpito il loro edificio, uccidendo suo padre, mentre sua sorella, 15 anni, è stata colpita e uccisa dopo che i soldati israeliani sono entrati in casa, mentre lui è stato catturato e separato dai suoi parenti sopravvissuti. Fino al suo rilascio senza accuse, circa dieci giorni dopo, è stato spesso mandato dai soldati a vagare per le strade di Khan Younis accompagnato solo da un piccolo drone sopraelevato noto come quadricottero. Il drone ha monitorato i suoi movimenti e gli ha dato istruzioni dal suo altoparlante. Pochi giorni prima del suo rilascio, i soldati gli hanno slegato le mani e gli hanno fatto indossare un’uniforme militare israeliana. Poi lo hanno liberato dicendogli di vagare per le strade in modo che i combattenti di Hamas potessero sparargli e rivelare le loro posizioni.

Il 31enne Jehad Siam ha raccontato invece di aver fatto parte di un gruppo di civili sfollati costretto a camminare avanti alle truppe d’Israele verso un nascondiglio di combattenti di Hamas. “I soldati ci hanno chiesto di andare avanti in modo che l’altra parte non rispondesse al fuoco”, ha spiegato. Una volta che la folla ha raggiunto il nascondiglio, i soldati sono spuntati da dietro i civili e si sono riversati all’interno della struttura uccidendo tutti i miliziani. Solo allora le persone sono state liberate.

Una delle storie più dure è quella raccontata da Basheer al-Dalou, farmacista di Gaza City che era fuggito dal proprio quartiere con la moglie e i quattro figli settimane prima, ma il 13 novembre era tornato per prendere alcuni generi di prima necessità ed è quel giorno che è stato catturato senza alcuna accusa dai soldati israeliani. I militari lo hanno fatto denudare, rimanendo solo con le mutande, ammanettato e bendato prima di interrogarlo e condurlo nel cortile di una vicina casa di cinque piani. Il piazzale era disseminato di detriti, tra cui gabbie per uccelli, serbatoi d’acqua, attrezzi da giardinaggio, sedie rotte, vetri in frantumi e un grande generatore: “Dietro di me, tre soldati mi hanno spinto in avanti con violenza – ha ricordato – Avevano paura di potenziali tunnel sotterranei o di esplosivi nascosti sotto qualsiasi oggetto”. Camminando a piedi nudi, si è tagliato i piedi sui frammenti di vetro, mentre sette o otto soldati lo dirigevano con un megafono nascondendosi dietro a dei ripari per paura che l’uomo si imbattesse in una trappola esplosiva e saltasse in aria. Con le mani legate dietro la schiena, ad al-Dalou è stato ordinato di camminare per il cortile prendendo a calci mattoni, pezzi di metallo e scatole vuote. Poi qualcosa si è mosso all’improvviso da dietro un generatore, i soldati hanno iniziato a sparare, ma si trattava solo di un gatto. Successivamente, i soldati gli hanno ordinato di provare a spostare il generatore, sospettando che nascondesse l’ingresso di un tunnel. Dopo che al-Dalou ha esitato, temendo che i combattenti di Hamas potessero emergere dall’interno, un soldato lo ha colpito alla schiena con il calcio del fucile.

Soldati dello Stato ebraico hanno invece raccontato di un’operazione all’interno di un ospedale Unrwa nel quale si trovavano alcuni tunnel di Hamas. Gli ingegneri militari hanno perforato il terreno per creare nuovi punti di accesso e calato una telecamera nei tunnel usando una corda, in modo da poter vedere più chiaramente cosa c’era dentro. Così hanno visto un uomo all’interno del tunnel, probabilmente un operativo di Hamas. Per poter esplorare meglio il passaggio, però, hanno ben pensato di inviare un palestinese con una bodycam, esponendolo al rischio di essere ucciso dai miliziani.

Le pratiche rivelate dall’inchiesta del New York Times, sono illegali sia per il diritto israeliano sia per quello internazionale. Le Idf, sentite dal quotidiano, hanno specificato che “direttive e linee guida vietano rigorosamente l’uso di civili detenuti a Gaza per operazioni militari”, aggiungendo che i resoconti dei detenuti e dei soldati palestinesi intervistati dal Times saranno “esaminati dalle autorità competenti”.

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