Musica

“Ho amato il lockdown perché andavo in giro nudo. Era fottutamente fantastico. Il mio disco è triste? C’è anche luce”: Robert Smith e i The Cure alla riscossa

Il primo novembre esce “Songs of a Lost World”, il 14esimo album in studio del gruppo e il primo da 16 anni a questa parte

Tristezza, tanta tristezza – ma era nelle intenzioni di Robert Smith -, ma anche tanta tanta musica e note sparse. “Songs of a Lost World” è il nuovo disco dei The Cure che uscirà il primo novembre, a sedici anni dall’ultimo progetto di inediti. Abbiamo ascoltato in anteprima la musica dei The Cure nella nuova sede della Universal Music a Milano, in un giorno di pioggia. Il clima perfetto per venire cullati da brani caratterizzato da chitarre, ritmi, echi lontani che spingono il messaggio della solitudine in un mondo che non aiuta a socializzare. Sono canzoni che sicuramente confermano ancora una volta lo stile inconfondibile della band. Alcune canzoni del disco risalgono al 2010 (“la demo più vecchia”) fino al 2014. Alcuni brani sono già stati presentati live, durante il tour “Shows of a Lost World”, comprensivo di 90 date in 33 Paesi e che ha totalizzato oltre 1.300.000 spettatori.

“Alone” ha aperto le danze e già con i 7 minuti totali e oltre 3 minuti di intro strumentale è un’ ottimo biglietto da visita. “C’è sempre un momento in cui non posso fare a meno di provare un senso travolgente di essere molto perso, molto solo, molto vicino alla fine”, dice Robert Smith. “A Fragile Thing” spiega il leader della band: “È guidata dalle difficoltà che affrontiamo nello scegliere tra bisogni reciprocamente esclusivi e nell’affrontare il futile rimpianto che può seguire queste scelte, per quanto siamo sicuri di aver fatto le scelte giuste… Può essere spesso molto difficile essere la persona che dovresti essere veramente”.

La storia di “Drone: Nodrone” ha dell’incredibile ed è commovente. “Stavo gironzolando fuori dal retro di casa mia e un drone con telecamera è volato sopra… -ha raccontato Smith – Mi ha disturbato, in realtà mi ha fatto davvero incazzare. È stato un orribile promemoria della natura invadente e sorvegliata del mondo moderno”. Toccante “I can never say goodbye” perché “parla della morte inaspettata di mio fratello maggiore Richard. Ho scritto la musica il giorno dopo la sua morte, ma ho lottato a lungo per trovare le parole giuste… Alla fine ho deciso per una semplice narrazione lirica di ciò che è successo l’ultima sera che sono stato con lui. È stata una canzone molto difficile da cantare nel tour Shows Of A Lost World, ma è sempre fantastica. Eseguirla sul palco mi ha aiutato ad affrontare il mio dolore. Mi manca”.

Robert Smith sa che i temi affrontanti nel disco, di certo, sono “impegnativi”: “Alcune persone. Di cui mi fido l’hanno ascoltato e hanno detto – ha rivelato Smith – ‘sai, le canzoni singolarmente sono davvero, davvero belle, ma è troppo. Non possiamo, sai, non puoi aspettarti che le persone ascoltino così tanta tristezza. Semplicemente non funziona’. Quindi un paio di canzoni, che amo davvero, sono state un po’ eliminate e un paio di canzoni aggiunte che non pensavo avrebbero funzionato. E in realtà ho semplificato il tutto. In origine erano 13 canzoni. E ora è 8 ed è un disco molto migliore perché ha un po’ di luce e oscurità”.

In un certo se “Songs of a Lost World” ha potuto vedere la luce, lo si deve anche al lockdown un periodo che ha permesso a Robert Smith di fare i conti con se stesso: “Molte volte non potevi vedere nessuno. Non potevi uscire di casa. Ero in una posizione molto privilegiata. Ho abbastanza spazio a casa per pensare. Mi piaceva il fatto che non ci fossero aerei in cielo. Era fottutamente fantastico che gli uccelli cantassero molto di più. Voglio dire, tutto stava in un certo senso tornando ad un mondo antico. Non ho mai avuto uno smartphone. Quindi mi piaceva l’idea di non dover fare nulla, non mi vestivo quando uscivo. Alcune settimane gironzolavo nudo e basta”. La libertà per i The Cure viene prima di tutto. Anche nella musica, non solo nella vita.

I The Cure nascono nel 1978, i The Cure hanno venduto oltre 30 milioni di dischi in tutto il mondo, sono stati headliner del Glastonbury Festival per quattro volte e sono stati inseriti nella Rock and Roll Hall of Fame nel 2019. I The Cure sono considerati fra le band inglesi più influenti di sempre.