Sembrava essere un documento unico nel suo genere: ordinava di smagnetizzare le bobine con le intercettazioni, con tanto di aggiunta a penna per disporre pure la distruzione dei brogliacci, cioè i fogli dove è appuntato il contenuto degli ascolti. E invece di provvedimenti simili ne sono stati redatti decine, forse centinaia. Di certo sono almeno 62 quelli che ritrovati dai legali di Gioacchino Natoli, ex pm di Palermo, finito sotto inchiesta per favoreggiamento a Cosa nostra.

La vicenda – La procura di Caltanissetta lo accusa di aver partecipato all’insabbiamento di una vecchia inchiesta sui fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, imprenditori mafiosi vicini a Totò Riina, poi divenuti soci del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini. L’indagine, archiviata nel giugno del 1992, era nata su input della procura di Massa Carrara, che aveva puntato i riflettori sulle infiltrazioni mafiose nelle cave di marmo in Toscana. Insieme alla richiesta di archiviazione, era stato ritrovato negli archivi anche un provvedimento che ordinava la smagnetizzazione delle bobine con le intercettazioni, firmato da Natoli. In quell’atto compare un’aggiunta a penna che dispone pure la “distruzione dei brogliacci“, cioè gli appunti scritti dagli uomini del Gico della Guardia di Finanza durante l’ascolto. Quella scritta non è stata tracciata con la calligrafia di Natoli, ma “verosimilmente” – come ha riferito un grafologo forense al Fatto Quotidiano – dalla mano di un altro ex pm di Palermo: Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma e Reggio Calabria, accusato di essere “l’istigatore” dell’insabbiamento, insieme a quello che all’epoca era il suo capo, Pietro Giammanco (deceduto nel 2018). Nell’indagine è coinvolto anche il generale Stefano Screpanti, che nel 1992 era un giovane capitano della Guardia di Finanza.

Le accuse – Il documento che ordinava la distruzione degli ascolti era diventato una prova a carico di Natoli, accusato di aver disposto intercettazioni lampo, “solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione”, evitando così che fossero trascritte conversazioni “particolarmente rilevanti“. Secondo i pm di Caltanissetta, infatti, l’ex magistrato “avrebbe disposto la smagnetizzazione delle bobine e la distruzione dei brogliacci“, tutto per “per occultare ogni traccia del rilevante esito delle intercettazioni telefoniche”. Una tesi, quest’ultima, che secondo gli inquirenti trovava riscontro nell’unicità di quel provvedimento di smagnetizzazione dei nastri e distruzione dei brogliacci: negli archivi della procura di Palermo, infatti, non risultavano documenti simili.

Il colpo di scena – E invece i legali di Natoli, gli avvocati Fabrizio Biondo ed Ettore Zanoni, hanno rintracciato almeno 62 provvedimenti identici, con lo stesso ordine: la scritta a macchina che “ordina la smagnetizzazione dei nastri” e quella a penna incriminata per “la distruzione dei brogliacci”. Secondo la tesi difensiva, dunque, quel foglio era un prestampato, fotocopiato integralmente (cioè con l’aggiunta a penna) centinaia di volte e poi compilato con i numeri dei fascicoli dei procedimenti, la firma del magistrato che disponeva la smagnetizzazione (che non doveva essere per forza il titolare dell’inchiesta) e la presa in carico (anche questa a penna) della segreteria dell’Ufficio Intercettazioni. Una vera e propria “prassi“, come l’aveva definita Natoli nella sua audizione in Commissione Antimafia, che riguardava inchieste per tutti i tipi di reati: mafia, droga, furto. Ovviamente, dopo la smagnetizzazione delle intercettazioni considerate ormai irrilevanti, i brogliacci diventavano inutili e dunque venivano distrutti. Non era insomma un’operazione portata avanti solo per l’indagine sui Buscemi, ma una procedura comune a tutte le inchieste archiviate o andate poi a sentenza definitiva. I provvedimenti “gemelli” a quello firmato da Natoli sono contenuti in una nota inviata alla procura di Caltanissetta dai legali dell’ex pm, che stanno portando avanti le loro indagini difensive.

L’inchiesta – Nei mesi scorsi la vicenda dell’indagine sui Buscemi è stata ricostruita davanti alla Commissione Antimafia ed è stata fonte di roventi polemiche. Il primo a parlarne, nel settembre del 2023, è stato l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino. Dopo aver legato l’inchiesta archiviata da Natoli al dossier Mafia e appalti, considerata dal legale e dagli ex vertici del Ros dei Carabinieri come il movente segreto della strage di via d’Amelio, Trizzino aveva accusato Natoli di aver “inspiegabilmente” chiesto di smagnetizzare le intercettazioni dei fratelli Buscemi. Accuse alle quali Natoli aveva replicato durante un’audizione sempre a Palazzo San Macuto. La smagnetizzazione delle bobine era una “prassi adottata dal Procuratore di Palermo dettata sia dalla necessità di riutilizzare le bobine smagnetizzate per la nota carenza di fondi ministeriali fortemente presente in quel periodo, sia per la mancanza di spazi fisici per la conservazione dei nastri”, aveva spiegato l’ex componente del pool Antimafia. Era stato sempre Natoli a riferire alla Commissione di come, tra l’altro, le bobine con le intercettazioni dei Buscemi non erano mai state smagnetizzate ma erano rimaste negli archivi del Palazzo di giustizia di Palermo. È lì che le ha recuperate la procura nissena guidata da Salvatore de Luca. Il riascolto di quei nastri – ancora in corso – avrebbe svelato come alcune intercettazioni non erano irrilevanti ma rappresentavano “vere e proprie autonome notizie di reato“. Da qui l’accusa a Natoli, Pignatone e Screpanti di aver insabbiato l’indagine, trentadue anni dopo i fatti. In tutto questo tempo nessuno si era accertato che la distruzione delle intercettazioni fosse stata effettivamente portata a termine.

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