Mafie

“In Lombardia c’è una mafiosità immanente”: così il Riesame ha dato ragione alla procura di Milano sul consorzio tra i clan storici

Alla fine, la clamorosa decisione dell’ufficio gip che lo scorso ottobre aveva bocciato pressoché totalmente l’impostazione della procura di Milano rispetto a un consorzio mafioso lombardo composto da elementi delle tre mafie storiche, è stata completamente ribaltata dal Tribunale del Riesame che ha confermato l’attualità e la bontà del capo 1 dell’ordinanza, ovvero quello che individua in elementi apicali di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra romana i membri di un consorzio mafioso o di un sistema mafioso lombardo. Un’entità, per nulla nuova, non verticistica ma orizzontale. “Non una super-mafia come evocato dal gip o una confederazione in senso stretto tra associazioni mafiose”, scrive il Riesame che poi spiega “come la diversità di provenienza sulla essenza della mafiosità” anzi “accomuna e non divide” i membri del consorzio mafioso lombardo. Del resto il Riesame, in uno dei provvedimenti notificati oggi a tre soggetti ritenuti figure di vertice dell’organizzazione mafiosa, scrive: “Il sodalizio come ricostruito presenta una mafiosità immanente che è il diretto portato della mafiosità dei suoi componenti più rappresentativi e in quanto tali in grado di concretamente condizionare lo svolgersi della vita dell’associazione”.

Tanto che lo stesso Riesame riprende il passaggio di una intercettazione in cui Gioacchino Amico, rappresentante della camorra romana legata al clan Senese, e uno dei destinatari del documento dice: “Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto”. Sul punto, in modo molto chiaro e seguendo la ricostruzione della procura e dei carabinieri, il collegio del Riesame spiega: “Questo dell’autorizzazione con la costruzione di un impero, secondo il collegio, è uno snodo centrale: dimostra che l’associazione esiste in termini propriamenti strutturali e che i soggetti che ne fanno parte appartenenti alle mafie storiche operativamente attive sul territorio lombardo con i placet delle associazioni di riferimento danno luogo a una collaborazione sistematica limitata ad un certo contesto territoriale (lombardo) che ha prima di tutto in sé oltre che nelle azioni concrete una connotazione mafiosa senza che ciò implichi né fusione tra associazioni né abiura della appartenenza mafiosa genetica”.

È il passaggio che confuta i passaggi dell’ufficio Gip sull’esistenza di una presunta “supermafia”, termine mai citato né dal pm né dai carabinieri, e conferma invece le dinamiche orizzontali tipiche del Consorzio, la cui esistenza a Milano era già stata raccontata negli anni Novanta da diversi collaboratori di giustizia. Ancora meglio il Riesame in un altro passaggio: “La mafia di questa associazione non è nuova perché la mafiosità dei soggetti che questo sodalizio compongono e fanno vivere, infiltrando il tessuto economico-imprenditoriale, è la mafiosità che sul territorio lombardo le comunità locali conoscono”. Non vi è dunque, come richiedeva il gip, bisogno di una attuale esternazione della mafiosità sul territorio. Anche perché, scrive ancora il Riesame, si tratta di “ soggetti che negli anni hanno creato sul territorio un clima di omertà e intimidazione, uno stato di soggezione che è tanto più eclatante nelle richieste di sostegno per piccoli e grandi problemi da parte di cittadini onesti”.

Di più: secondo il Riesame è stato “ampiamente dimostrato” che “il sodalizio abbia fatto concreto, attuale, percepibile uso della forza di intimidazione”. Del resto in attesa di leggere tutti i 79 provvedimenti del Riesame, tante erano le richieste dell’appello del pm, già nei 13 depositati oggi e in particolare nei tre che riguardano i vertici del sistema mafioso lombardo, lo stesso Riesame colloca “ai vertici del sodalizio” quel “Paolo Errante Parrino”, considerato la cerniera con la mafia di Castelvetrano e in contatto con Matteo Messina Denaro. “I Crea”, il padre Santo e il figlio Filippo di Melito Porto Salvo. “I Pace”, legati alla Cosa nostra di Trapani. “I Rispoli”, già a capo della locale di ‘ndrangheta di Lonate Pozzolo come anche “Massimo Rosi”. E poi, il Riesame, dopo Cosa nostra e ‘ndrangheta, individua in “Giancarlo Vestiti” e “Vincenzo Senese”, figlio di Michele ‘o Pazzo i vertici della camorra romana legati al consorzio lombardo. Mafiosità immanente, dunque. “Mafiosità” che “nutre l’intero gruppo”.

E che si tratti di un consorzio lombardo tra elementi di vertice delle tre mafie e non di una confederazione che invece spiegherebbe un’alleanza a livello nazionale, lo dice ancora una volta il Riesame, per il quale “l’essenza della mafiosità non divide ma accomuna gli associati, né la diversa appartenenza costituisce un problema per gli associati”. E vengono, in questo senso, citate due intercettazioni: “Qua siamo tutti e tre, siamo tutti una cosa”. “Qua è Milano, qua le cose giuste si fanno”. Conclude il Tribunale del Riesame: “È questo mutuo riconoscimento a regolare poi al suo interno il sodalizio sia nella definizione dei suoi obiettivi operativi sia nel gestire contrasti e diatribe”. È il consorzio mafioso lombardo.