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Libano, la morte di Nasrallah lascia orfana la comunità sciita. Corsa alla successione: ecco chi sono i leader emergenti di Hezbollah

L’assassinio del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato un duro colpo non solo per il movimento filo-iraniano, ma anche per la comunità sciita libanese e in certa misura anche per quella regionale. Da moltissimi libanesi – non necessariamente sciiti – Nasrallah veniva percepito come una istituzione quasi separata dal movimento che guidava – […]

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L’assassinio del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, è stato un duro colpo non solo per il movimento filo-iraniano, ma anche per la comunità sciita libanese e in certa misura anche per quella regionale. Da moltissimi libanesi – non necessariamente sciiti – Nasrallah veniva percepito come una istituzione quasi separata dal movimento che guidava – poteva spesso capitare di imbattersi in elettori sciiti insofferenti verso il partito ma in perpetua adorazione dell’ex segretario – e i suoi discorsi trasmessi in diretta tv venivano attesi e ascoltati da milioni di persone. Un uomo che per le masse libanesi aveva anzitutto una innata capacità di comunicare, di aggiornarsi continuamente, di rivolgersi al pubblico cambiando registri, di fornire una narrazione ogni volta chiara, articolata ed efficace, nonostante la caratteristica “R” moscia, suo tratto distintivo. Decine le leggende ma anche le storie su di lui, come quella che lo vide, nel primo decennio del nuovo secolo, citare in diretta tv uno stralcio della autobiografia di George W. Bush che era stata pubblicata negli Stati Uniti solo una decina di giorni prima. La sua clandestinità forzata ne aveva accentuato la tendenza a tenersi informato a 360 gradi, condizione necessaria per poi “tradurre” il mondo alla sua base di consenso e di ascolto. La sua morte segna inevitabilmente un cambiamento di postura nel Partito di Dio che dipenderà anche dal nuovo leader che lo sostituirà. E i nomi in lizza sono già diversi.

Il leader dal pugno di ferro che non voleva la guerra aperta con Israele
La comunità sciita in Libano, attraverso i suoi canali ed emittenti, lo ha salutato come un padre, come un genitore che se ne va, lasciando milioni di orfani, alcuni dei quali bramosi di vendetta. È questo, un aspetto rilevante: se dall’8 ottobre 2023 per i miliziani di Hezbollah si è posta nuovamente la questione politico-militare della “solidarietà verso Gaza” contro il nemico israeliano, dal 28 settembre 2024 per molti è subentrata una questione personale. Nasrallah di fatto era il leader di una comunità, oltre che di un partito, ed il suo carisma aveva una funzione parimenti aggregante e motivazionale, imparagonabile ad altri leader politico militari assassinati di recente, con cui pure condivide alcuni aspetti, come l’ex leader del Politburo di Hamas, Ismail Haniyeh, o più a ritroso Qassem Suleimani, ucciso nel 2020.

La sua morte appare importante anche per altri motivi: la sua leadership politica aveva contribuito a rendere il partito milizia un attore regionale per molti versi indipendente dal Libano stesso e certamente più forte dal punto di vista militare. È importante segnalarlo, perché Nasrallah è a sua volta subentrato nel 1992 a un altro leader assassinato da Israele, cioè Abbas al Moussawi. Il movimento, invece, con Nasrallah fu in grado dapprima di spingere Israele per due volte al ritiro dal sud del Libano e poi di partecipare – su richiesta dell’alleato siriano – per diversi anni al conflitto in Siria. L’acume politico, la conoscenza dei meccanismi istituzionali e l’arguzia di Nasrallah avevano rafforzato la posizione di Hezbollah anche all’interno dell’arena libanese, essendo stato capace di costruire un blocco parlamentare maggioritario, anche grazie alle alleanze sottoscritte con alcuni partiti cristiani, tra cui quello dell’ex presidente della Repubblica.

La perdita della sua capacità negoziale, al di là del suo massimalismo esteriore, non va sottovalutata, nemmeno dagli stessi israeliani: come rilevato dall’analista militare dell’Inss, nonché ex consigliera del primo ministro e delle Idf, Orna Mizrahi, quella di Nasrallah era una “voce ragionevole nel contesto del conflitto, interessata a una guerra d’attrito con Israele ma anche in grado di contenere il desiderio in alcuni comandanti di Hezbollah di ricorrere al pieno uso del proprio formidabile arsenale”. Non è chiaro chi verrà dopo di lui ma è ragionevole prevedere un irrigidimento ideologico della milizia o uno spostamento delle capacità decisionali verso figure più marcatamente militari che non politico-religiose.

Da un punto di vista organizzativo e strategico, Nasrallah aveva un peso enorme all’interno non solo di Hezbollah ma di tutta la galassia di milizie regionali, dagli Houthi all’organizzazione Badr. Da quello operativo, sembrano non meno importanti le uccisioni di tutti i membri della prima catena di comando di Hezbollah, quella formata dalla prima generazione di miliziani, comparsi nella guerra civile libanese durante gli anni 80. Fouad Shoukr, Mohammad Nasser, Ibrahim Akil, Ali Karaki, Mohammad Srour, Ibrahim Qubaisi e altri uccisi in questi mesi avevano tutti superato i 60 anni ed è verosimile che – come da protocollo per Hezbollah – abbiano preparato i loro sostituti al subentro.

I nuovi leader emergenti di Hezbollah
Sebbene i miliziani di Hezbollah stiano prevedibilmente dando del filo da torcere alle truppe israeliane entrate da ormai una settimana nel sud del Libano, non è dato sapere se ciò abbia a che fare col ruolo dei nuovi comandanti, perché in Hezbollah viene da tempo declinato il concetto tipicamente americano di mission command in base al quale i miliziani sul teatro operativo si vedono delegate anche facoltà decisionali e iniziative belliche senza il bisogno di coordinamento con il comando centrale.

È però sicuro che alcuni leader militari all’interno di Hezbollah stiano salendo di grado assumendo nuove posizioni. Ibrahim Akil e Ahmad Wahbi – il primo membro del Consiglio del Jihad e il secondo comandante delle unità d’élite Radwan – erano stati immediatamente sostituiti dopo il loro assassinio a metà settembre, rispettivamente con Ali Karaki e con Talal Hamyeh. Ali Karaki è stato a sua volta ucciso una decina di giorni fa, mentre Hamyeh – un altro membro della prima generazione di miliziani – dovrebbe ancora operare come comandante dell’Unità 910 che secondo il Dipartimento di Stato americano si occupa soprattutto di identificare obiettivi americani e israeliani al di fuori del Libano.

Secondo fonti israeliane il ruolo di Ibrahim Akil sarebbe stato affidato al comandante delle Unità Badr (attive nel sud del Libano) Abu Ali Reda, anche noto come Ali Reda Abbas, già sopravvissuto a un tentativo di assassinio negli anni 90 e coinvolto nel 2007 nel rapimento e nell’uccisione di cinque soldati americani a Karbala, in Iraq. Il suo vice sarà Ali Mousa Daqdouq, 55 anni, a lungo tra le fila dell’unità Golan, una cellula di Hezbollah fondata ed operativa a ridosso del Golan occupato da Israele. Anche lui sarebbe stato coinvolto nell’operazione a Karbala.

È tuttora in vita, ma non si conosce il suo ruolo operativo al momento, Haytham Ali Tabatabaei, 54 anni, ex capo delle Unità Radwan, e probabilmente il più anziano comandante di Hezbollah in Siria. Ha avuto un ruolo attivo nell’integrazione sul campo di diverse milizie filo iraniane e anche nel coordinamento con gli iraniani e nel sostegno e addestramento agli Houthi in Yemen. Nel 2016 il Dipartimento di Stato americano lo ha inserito nella lista degli “Specially designated global terrorist“, mettendo su di lui una taglia da 5 milioni di dollari.

Rimangono in vita anche Mohammad Ataya, a capo dell’Unità 133, per le operazioni in Israele e nei Territori occupati; Mohammad Haydar, ex parlamentare di Hezbollah e poi consigliere in materia di sicurezza per Nasrallah, nonché degli affari militari nel sud del Libano; Munir Ali Naim Sheaito, anche conosciuto come Hajj Hashem, comandante del fronte sud nel conflitto in Siria, con particolare focus sul Golan, e coordinatore operativo tra Hezbollah, regime siriano e iraniani; Khudur Yousef Nader, a capo della sicurezza personale di Nasrallah e comandante dell’Unità 900, dedicata al coordinamento delle attività di sicurezza personale del segretario; e infine Hajj Khalil Harb, a capo dell’Unità 3800, responsabile del reclutamento e addestramento di milizie alleate, soprattutto in Yemen e in Iraq.

Se ancora non è chiaro chi succederà a Nasrallah – il suo cugino e mai confermato possibile successore, Hisham Safieddine, potrebbe essere stato assassinato a sua volta, ma non ci sono ancora notizie certe -, non è chiaro nemmeno chi guiderà il consiglio del Jihad, così come il Consiglio esecutivo: se confermata la morte del suo capo, cioè lo stesso Safieddine, potrebbe subentrargli il suo vice, Ali Daamoush.

Ancora “vacanti” sembrano alcune importanti posizioni operative. L’Unità Aziz, che si occupa delle operazioni nel settore orientale del sud del Libano, a sud del fiume Litani, è rimasta orfana dei suoi primi quattro comandanti, da Talal Abdullah, che era a capo dell’Unità, passando per i suoi vice Ali Salim Soufan, Mohammad Hussein Sabra e Hussein Qassem Hamid. Non si conosce l’identità del quinto ufficiale, come non si conosce quella del vice di Mohammad Naser, appena assassinato, ex capo dell’Unità Nasr, adibita alle operazioni nel settore occidentale del sud del Libano. Lo stesso si può dire per altre unità, come la Imam Hussein (che comprende combattenti anche non libanesi), la 910, quella missilistica guidata fino a pochi giorni fa da Qubaisi, e quella dei droni, guidata da Srour. In tutti questi casi, e anche in quello dell’Unità Jalil – verosimile “back up” della Radwan – anche i sostituti dei comandanti sono stati uccisi, e non si conoscono i nomi di eventuali subentranti.