Dieci miliardi ancora da trovare: il 40% dei circa 25 da mettere in campo con la manovra. Gli altri ministeri che come sempre fanno resistenza davanti alla richiesta di sforbiciare voci di spesa “inutili”. E una lista di misure da finanziare che continua ad allungarsi: Adolfo Urso giura che ci sarà il piano casa chiesto da Confindustria, mentre Orazio Schillaci annuncia assunzioni di medici e infermieri e Maurizio Leo – dopo aver archiviato l’idea del taglio Irpef per chi guadagna tra 50 e 60mila euro, sostenuta per mesi – evoca la possibilità di non far scendere al 36% il bonus per le ristrutturazioni edilizie. Nel frattempo nessuno parla più di ampliamento del tetto per l’accesso alla flat tax, che un mese fa pareva cosa fatta, né di pensione con “quota 41” seppure “light”. Rientreranno in corsa? A un giorno dall’approvazione del Documento programmatico di bilancio da inviare a Bruxelles e una settimana dalla scadenza per la presentazione al Parlamento dell’articolato della legge di Bilancio, le certezze sono poche. Sul fronte delle entrate, a dominare la scena negli ultimi giorni sono state le polemiche su accise e catasto. Ma a spaventare il governo è soprattutto il rischio che a fine mese il concordato preventivo biennale si riveli un flop e il gettito sperato non si materializzi.

Il conto delle uscite – La manovra muoverà nel complesso circa 25 miliardi. I punti fermi sono il rinnovo dell’esonero parziale dai contributi previdenziali per i dipendenti con redditi fino a 35mila euro e la conferma dell’Irpef a tre aliquote. Anche se il taglio del cuneo cambierà fisionomia, come anticipato nel Piano strutturale di bilancio: gli effetti sulle buste paga verranno mantenuti agendo sulla parte fiscale e prevedendo un décalage, per rispondere ai rilievi di Bankitalia sul disequilibrio creato dalla decontribuzione nel sistema pensionistico e a quelli dell’Ufficio parlamentare di bilancio sulla “trappola della povertà” (chi supera i 35mila euro vede crollare il reddito disponibile) che rende più difficili i rinnovi contrattuali.
Il conto fin qui è di 15 miliardi. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha poi fatto sapere di voler “rafforzare le politiche per la famiglia” – oltre all’assegno unico su cui potrebbe arrivare qualche ritocco – offrendo “un trattamento fiscale migliore” ai nuclei con figli. E ha garantito che la spesa sanitaria non sarà ridotta per rispettare la traiettoria generale della spesa netta concordata con la Ue. Sul fronte delle pensioni, archiviate definitivamente le promesse elettorali della Lega si arriva al voltafaccia completo: ora sul tavolo ci sono incentivi per chi vorrà restare al lavoro oltre i 67 anni di età. Ma almeno le misure di flessibilità già in vigore, come quota 103 e Opzione donna, verranno rifinanziate. E Giorgetti ha promesso alle parti sociali di ripristinare la piena indicizzazione degli assegni all’inflazione. In aggiunta servono risorse per il rinnovo dei contratti collettivi del pubblico impiego, per rifinanziare le missioni internazionali e, a meno di non volerli revocare, per confermare la riduzione del canone Rai (oltre 400 milioni), l’aumento della soglia di esenzione dei fringe benefit (600 milioni) e la detassazione dei premi di produttività (220 milioni).

9 miliardi in deficit – Ma negli ultimi giorni l’attenzione si è concentrata soprattutto sulle coperture. Inevitabile vista la raffica di dichiarazioni poco accorte di Giorgetti che ha prima parlato di “sacrifici per tutti”, poi ritrattato specificando che si rivolgeva a “un consesso di banchieri” e i sacrifici saranno solo per “chi li può fare”, subito dopo annunciato controlli sulla revisione dei valori catastali degli immobili ristrutturati con il Superbonus (già previsti dalla manovra approvata lo scorso anno) e infine imbellettato gli aumenti di tasse – che nel frattempo Giorgia Meloni si era affrettata a smentiredefinendoli eufemisticamente “ritocchi di entrate. I nervi sono tesi perché al momento le risorse certe su cui il Tesoro può contare arrivano a 15 miliardi su 25. Di cui quasi 9 in deficit: anche se il nuovo Patto di stabilità non consente all’Italia di far ricorso a indebitamento aggiuntivo, la parte strutturale delle maggiori entrate tributarie dei mesi scorsi ha fatto scendere il deficit/pil tendenziale del 2025 al 2,9% contro il 3,6% previsto dal Def, consentendo al governo di fissare senza problemi quello programmatico (che tiene conto degli interventi che verranno inseriti in manovra) al 3,3% e utilizzare lo 0,4% di differenza per finanziare una parte di manovra. Il resto arriva per 3,48 miliardi dall’abolizione dell’Aiuto per la crescita economica (che ne valeva 4,8 di cui 1,3 già usati per la super deduzione del costo del lavoro per chi assume a tempo indeterminato), per 2,19 miliardi dal rifinanziamento del Fondo per la riduzione della pressione fiscale in cui confluiscono le maggiori entrate strutturali da lotta all’evasione e per 400 milioni dall’imposta minima del 15% sulle multinazionali.

Buio sul “contributo” delle banche – Taglio del cuneo e Irpef a tre aliquote sono quindi coperte. Restano però oltre 10 miliardi da trovare. La trattativa con le banche su un “maggior contributo allo Stato”, che sembrava dovesse sfociare in un mero differimento della trasformazione delle attività per imposte anticipate in crediti d’imposta, pare in alto mare e si torna a parlare di un aumento dell’Ires che potrebbe riguardare anche altri comparti. Non senza i soliti litigi in maggioranza. Il Giorgetti delle ultime ore giura però di voler puntare tutto sui risparmi di spesa. Dalla spending review, che è uno degli impegni presi con la Ue nel Piano di bilancio ma con tutta probabilità anche stavolta prenderà la forma di tagli lineari, si punta a risparmiare almeno 3 miliardi. Contro i 2 miliardi di riduzioni di spesa già previsti dalle leggi di Bilancio per il 2023 e 2024.

Accise e detrazioni da ritoccare – Un altro miliardo è atteso dall’”allineamento” delle aliquote delle accise per diesel e benzina: quelle sul gasolio saliranno di qualche centesimo mentre quelle sulla benzina saranno tagliate di altrettanto. Visto che i consumi di diesel nel 2023 sono stati due volte e mezza quelli della benzina, il gettito salirà. Il viceministro Leo ha anticipato una “potatura” anche di altre tra le oltre 62o tax expenditure, cioè deduzioni, detrazioni ed esenzioni che riducono gli introiti fiscali dello Stato di circa 96 miliardi l’anno (ma 200 misure sono ufficialmente ritenute impossibili da quantificare). Ma per disboscarle “serve molto capitale politico”, come ha notato la commissione del Mef che ogni anno le censisce. Non a caso si ipotizza di colpire quelle “di minore interesse per i contribuenti”. Il che equivale a dire che il risparmio sarà minuscolo. Altri 400 milioni si potrebbero raggranellare, secondo Il Sole 24 Ore, prorogando nuovamente a pagamento le concessioni sulle slot, il Bingo e le scommesse.

Concordato verso il flop – La vera grande incognita riguarda i proventi del concordato preventivo biennale, scommessa dello stesso Leo, che pur di incentivare le adesioni ha concesso alle partite Iva una flat tax sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello oggetto dell’accordo con il fisco per poi lasciare che la maggioranza ci aggiungesse durante il passaggio parlamentare anche un maxi condono sul nero pregresso. Che sarà sanabile pagando un’imposta sostitutiva dal 10 al 15% su una quota dal 5 al 50% del sommerso a seconda del voto di affidabilità fiscale. L’operazione mirata a convincere chi finora ha evaso a pagare un po’ più tasse si chiuderà il 31 ottobre: la richiesta di una nuova proroga è stata rispedita al mittente perché il governo ha bisogno di sapere appena possibile quante risorse fresche arriveranno dalla misura destinata a 4,5 milioni di contribuenti tra cui 1,8 milioni di forfettari. Che, nel caso “concordino”, potranno arrivare a 150mila euro di fatturato senza conseguenze, nonostante il tetto di ricavi per godere della flat tax sia fissato come è noto a 85mila euro. Nonostante i regali a chi accetterà la proposta delle Entrate, l’interesse di autonomi e piccole imprese resta però ai minimi termini. Stando a una ricognizione di Italia Oggi tra i commercialisti, ad accettare sarà una quota compresa tra il 5 e il 10% della platea potenziale. L’obiettivo iniziale di raccogliere un paio di miliardi (previsione poi “prudenzialmente” azzerata) è lontanissimo. Il terrore del flop sempre più evidente. Per ingolosire gli indecisi, da lunedì nel cassetto fiscale delle partite Iva arriverà una “tabella contenente gli elementi informativi utili del contribuente nonché il calcolo dell’imposta sostitutiva da versare per l’eventuale adesione all’opzione di ravvedimento”, ha fatto sapere Sogei. Spintarelle probabilmente fuori tempo massimo.

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