Che noia queste soste. I tifosi, diciamolo, le detestano. Gli allenatori le temono, passano due settimane ad allenarsi con i primavera e fare scongiuri che i loro titolari tornino integri a casa. Se però anche i giocatori cominciano a snobbarle, allora Uefa, Fifa e soprattutto le nostre amate nazionali hanno davvero un problema. Nella soporifera vigilia delle gare di Nations League, è successo che tra le convocazioni delle varie nazionali mancasse quella di Kylian Mbappé nella Francia. Non si tratta di un’assenza come un’altra, non soltanto perché parliamo del più forte giocatore al mondo o giù di lì. Non è vero che Mbappé non è stato convocato perché infortunato, sta benissimo: aveva giocato nell’ultimo turno di Liga contro il Villarreal e anzi in questi giorni è stato avvistato a Stoccolma a divertirsi in discoteca proprio mentre i suoi compagni erano in campo. Mbappé non è stato convocato perché il Real Madrid non voleva. E lui si è schierato col club che lo paga.

La questione è stata candidamente ammessa dal ct Deschamps, che ha spiegato: “Gli interessi dei club e delle squadre nazionali a un certo punto divergono. Ovviamente, per me, la cosa più importante è l’interesse del giocatore. So benissimo che non ha intenzione di andare contro il suo club. E io non sono qui per metterlo in difficoltà con la sua società”. Deschamps ha vestito i panni del buon padre di famiglia, assecondando un giocatore viziato (che infatti ormai è precipitato anche nell’opinione pubblica francese). L’alternativa sarebbe stata usare il pugno duro, a costo di perdere il giocatore in futuro, un rischio che la Francia non poteva correre. Così ha evitato un caso, circoscritto infatti a un paio di domande in conferenza stampa. Però ha creato un precedente.

Nella grande battaglia del pallone che oggi vive il momento di massima incertezza, il conflitto fra club e nazionali è sempre più aspro, perché queste rappresentano la naturale propaggine delle istituzioni, di Fifa e Uefa, contro cui è indirizzata la crociata dei privati, già vista a proposito della famosa Superlega. Le società rivendicano il loro ruolo di datori di lavoro, finanziatori dell’intero sistema e quindi pretendono un controllo maggiore, quasi totale, sui loro asset. È un tema sentito anche in Italia, dove ad esempio De Laurentiis è uno dei più insofferenti (anche Lukaku è rimasto a casa durante la sosta, in accordo un po’ più comune col Belgio, per affinare a Napoli la preparazione fisica saltata in estate). Col caso Mbappé, questo scontro latente rischia di fare un salto di qualità. E non è un caso che dietro – come confermato dallo stesso Deschamps – ci sia lo zampino del Real di Florentino Perez, capofila della rivolta, che dopo la Superlega sta cercando di smontare il sistema dall’interno.

Il problema è sempre esistito, ma cosa succede se i club riescono a portare i calciatori – specie i migliori – dalla loro parte e a convincere i ct a non convocarli nemmeno, per evitare guai peggiori? Sarebbe la fine per il sistema nazionali. Il tentativo di piegare definitivamente il pallone agli interessi privati, uccidendo ciò che poco rimane di sport nel calcio, è smaccato e sempre più pericoloso. Fifa e Uefa però devono interrogarsi sulle loro responsabilità. Tutte queste soste zeppe di gare inutili non giovano alla causa delle nazionali, aumentando la disaffezione di calciatori e tifosi. Ormai non è più rinviabile una riforma del calendario, in cui ridurre al minimo le pause durante i campionati (già dal 2026 quello di settembre e ottobre saranno accorpate), per creare un’unica finestra più lunga magari a giugno, a fine stagione. Ricordandoci tutti, però, che anche queste partite noiose servono alle nazionali. Altrimenti poi dimentichiamoci pure i Mondiali.

X: @lVendemiale

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