Mondo

Medioriente, il messaggio di speranza di un israeliano e un palestinese uniti per la pace

Stiamo seguendo tutti con apprensione gli avvenimenti del Medio Oriente. L’escalation a cui assistiamo, dopo l’orribile strage del 2023, getta inevitabilmente luci fosche sul futuro dell’umanità. Finora le dichiarazioni e i comportamenti degli attori principali di questo scenario hanno avuto una connotazione soprattutto polemogena. Invece avremmo bisogno come il pane di atteggiamenti irenici, che conducano alla distensione e perlomeno a una tregua.

L’unico vero messaggio di speranza giunge piuttosto da due cittadini comuni, Aziz Abu Sarah e Maoz Inon. Sono due imprenditori, il primo palestinese e il secondo ebreo, entrambi accomunati dall’idea che il turismo possa essere uno strumento per avvicinare le comunità e costruire la pace tra le nazioni. La loro amicizia nasce proprio in occasione di quel terribile 7 ottobre. Aziz, che aveva perso il fratello per mano dei soldati israeliani, contatta Maoz per esprimergli cordoglio e vicinanza per l’uccisione dei genitori. Ha appena letto una sua dichiarazione pubblica, dopo il massacro, nella quale dice di soffrire non solo per la madre e il padre assassinati, ma anche per il popolo di Gaza dilaniato dalle bombe.

Il 18 maggio scorso Aziz e Maoz si sono abbracciati davanti a Papa Francesco, a Verona, durante l’Arena di Pace 2024. Quel gesto ha un valore simbolico eccezionale: dimostra che la via da intraprendere è quella che mette da parte il desiderio di vendetta e persegue il dialogo. Si tratta, senza dubbio, di una strada in salita, perché – come scrive Arianna Arisi Rota nel suo ultimo saggio (Pace, il Mulino, 2024) – “la pace non scoppia”, “la pace ha bisogno di tempo”, è un processo lungo “alimentato da persone per creare o ricreare relazioni”.

Occorre, per questo, fare tutto lo sforzo possibile per spezzare la catena dell’odio. Sul punto ci soccorrono le nuove frontiere del diritto penale, proprio quella concezione della “giustizia riparativa” di cui ho più volte parlato in queste pagine. Ne è convinta la professoressa Arisi Rota: “la parola ‘pace’ porta con sé la parola ‘giustizia’, un bisogno di giustizia che oggi si intende sempre più nel senso della riparazione, del mutuo riconoscimento tra le parti in lotta, fino all’auspicabile riconciliazione“.

Per ottenere una pace giusta (e stabile), bisogna essere disposti a “visitare la terra del compromesso“, a intavolare il confronto tra le proprie ragioni e quelle dell’altro, a concedere qualcosa al “nemico”, persino a chiedere scusa per i torti procurati e a riparare i danni e le ingiustizie causati.