Nel giorno che inaugura i viaggi verso i centri per migranti che l’Italia gestirà in Albania, sono solo 16 le persone imbarcate sulla Nave Libra, il pattugliatore della Marina Militare che solo di equipaggio può portarne fino a 80. Sedici contro le oltre 300 persone sbarcate solo nell’ultima notte a Lampedusa. Sedici contro i 200 posti che, secondo quanto si era appreso, sarebbero a disposizione sulla nave hub che avrebbe dovuto raccogliere e poi trasferire i migranti intercettati nelle acque internazionali del Mediterraneo. Non solo. I migranti in viaggio verso il porto di Shengjin, dove è stato allestito l’hotspot per le operazioni di identificazione, sono 6 cittadini egiziani e 10 bangladesi, che in base a una recente sentenza della Corte Ue non potrebbero essere sottoposti alle procedure accelerate per l’esame delle domande d’asilo, le stesse che si intende fare in Albania. Una volta arrivati, per i richiedenti asilo verrà presentata dalla Questura di Roma una richiesta di convalida del trattenimento sulla quale i giudici del Tribunale capitolino dovranno esprimersi. Se i magistrati applicheranno la sentenza Ue, anche i primi, pochi richiedenti dovranno essere riportati in Italia. Una partenza tutta in salita che fa gridare allo scandalo le opposizioni, che parlano di “un miliardo sperperato proprio mentre il governo prevede di alzare le tasse agli italiani”. Tutto nella giornata in cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato che “l’impegno per la coesione sociale, l’accoglienza, il progresso, l’integrazione, il divenire della cittadinanza, è attività permanente”.
Secondo quanto riferito dal ministero dell’Interno, le persone attualmente imbarcate sono state tutte raccolte in seguito a salvataggi della Guardia costiera italiana. Si trovavano a bordo di due barchini, il primo partito da Sabratah, il secondo da Zuara, entrambe località della Tripolitania, in Libia, e sono state intercettate la notte tra il 13 e 14 ottobre in acque internazionali dalle motovedette italiane che le hanno poi trasferite sulla Libra. Qui è stato effettuato un primo screening per individuare le persone vulnerabili, comprese le vittime di violenze nei paesi di origine o transito, che non possono essere trasferite in Albania. Queste sono tornate a bordo della motovedetta e trasferite in Italia. Gli altri, i sedici eziziani e bangladesi, dovrebbero arrivare al più tardi mercoledì 16 ottobre a Shengjin, dove saranno avviate le procedure di identificazione e un ulteriore screening. Chi presenterà domanda di asilo verrà poi trasferito nell’entroterra, a venti chilometri, nel centro di Gjader dove sono pronti 400 degli 880 posti previsti. Qui verranno avviate le procedure accelerate in frontiera che vanno concluse entro e non oltre 28 giorni, pena il trasferimento in Italia e il passaggio alle procedure ordinarie. Nelle 4 settimane è compreso l’eventuale ricorso contro un primo diniego alla richiesta d’asilo, che nel caso della procedura accelerata va fatto in 7 giorni, col rischio più volte denunciato di una compressione del diritto d’asilo e dell’impossibilità di esercitare il proprio diritto alla difesa, compresa la difficoltà di nominare un avvocato di fiducia che il richiedente dovrà cercare in Italia, chissà come.
Chi non riuscirà a ottenere la protezione, e a farsi rimandare in Italia per essere inserito nel sistema di accoglienza, verrà trasferito nel Cpr, il centro di permanenza per il rimpatrio da 140 posti del centro di Gjader. Ma anche i rimpatri non possono essere dati per scontati. Quest’anno, su 13 mila ordini di rimpatrio ne sono stati eseguiti 2.242. E infatti il tasso di rimpatrio di Paesi come la Tunisia e l’Egitto, primi candidati per i centri albanesi, è rispettivamente del 13 e 12 per cento. Per non parlare del Bangladesh, primo paese per numero di sbarchi nel 2024, che ha un tasso di rimpatri del 5%. Ma nemmeno che si arrivi a parlare di rimpatri è scontato. Prima c’è un altro problema, la sentenza del 4 ottobre con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea ha di fatto demolito i piani dell’Italia. Il governo Meloni elenca tra i Paesi d’origine che considera sicuri anche quelli per cui esclude parti del territorio e categorie di persone a rischio. La Corte dice che il diritto europeo vigente non lo ammette, stabilendo che un Paese è sicuro per tutti o non lo è. E siccome il requisito per essere trasferiti in Albania è l’origine da Paese “sicuro”, 15 dei 22 Paesi nella lista dell’Italia non possono più essere considerati tali ai fini delle procedure accelerate in frontiera. Tra questi ci sono anche Tunisia, Egitto e Bangladesh, i cui cittadini non potranno essere trattenuti, in Italia come nei centri albanesi.
Sulla sentenza della Corte al momento non ci sono indicazioni dal Viminale, né da Palazzo Chigi. Anzi, il governo sembra guardarsi bene dal fare dichiarazioni in merito preferendo attaccare le solite “toghe rosse” nazionali. Nel frattempo tira dritto e porta in Albania egiziani e bangladesi. Ma se il governo fa orecchie da mercante trasferendo anche persone provenienti da Paesi parzialmente sicuri, lo stesso non potranno fare i giudici competenti, quelli della sezione specializzata del Tribunale di Roma. A giorni riceveranno le prime richieste di convalida dei trattenimenti sulle quali esprimersi entro 48 ore, forse già venerdì. Se terranno conto, come dovrebbero, della sentenza Ue, la persona dovrà essere liberata e portata in Italia. Con costi che ancora nessuno ha calcolato e che si sommeranno agli almeno 700 milioni di euro che il governo ha previsto di spendere per il Protocollo siglato con Tirana. Con tutte queste incognite, dal rispetto dei diritti fondamentali ai costi esorbitanti, le opposizioni parlano di “flop annunciato” e tuonano contro una scelta che giudicano uno sperpero di denaro pubblico. “Il governo di Giorgia Meloni alza le tasse e sperpera quasi un miliardo di euro dei contribuenti per i centri migranti in Albania, in spregio ai diritti fondamentali delle persone e alla recente sentenza europea sui rimpatri che fa scricchiolare l’intero impianto dell’accordo con l’Albania. Potevamo usare quelle risorse per accorciare le liste di attesa o per assumere medici e infermieri. Adesso abbiano la decenza di non chiederci più dove tiriamo fuori i soldi per la sanità, è gravissimo aver scelto di depotenziare il servizio sanitario nazionale nonostante ogni anno più di quattro milioni e mezzo di persone in Italia non riescano a curarsi”, ha rilanciato oggi la segretaria del Pd Elly Schlein. Chi ha fatto i conti parla di una spesa 4 volte superiore a quella che sarebbe stata sostenuta se le stesse operazioni avvenissero in Italia. E con tutta probabilità non immaginava una nave miliare con 16 persone a bordo.