Alle porte di Roma si sta predisponendo nell’indifferenza generale un imponente sgombero di famiglie baraccate. E il pensiero va a Pisa. Due città, due baraccopoli, due storie di sgomberi, cinque anni di distanza e nessuna lezione appresa.

Settembre 2019. Michele Conti, sindaco leghista della città di Pisa (circa 90.000 abitanti), porta a termine lo sgombero della baraccopoli di via dell’Ospedaletto, dove da un ventennio vivono 220 persone originarie della Macedonia. Per le organizzazioni che si occupano di diritti umani, l’azione è configurabile come uno “sgombero indotto”. Le persone sono infatti andate via prima delle ruspe perché indotte, appunto, a farlo attraverso un contributo simbolico una tantum di 500 euro a persona, ipocritamente giustificato come “contributo all’affitto”.

La delibera di Giunta prevedeva un percorso di inclusione mai realizzato. “Ci hanno convinti a lasciare le nostre case facendoci sperare che la nostra vita sarebbe migliorata, in pratica ci hanno comprato con il contributo economico che ci hanno dato – mi raccontò un padre di 6 bambini – Per loro era importante solo che andassimo via, per il resto, agli assistenti sociali non frega nulla di noi”, il commento di una vicina di baracca. Nei mesi successivi la fuoriuscita delle famiglie si registrarono una serie di occupazioni nei comuni limitrofi, frutto della diaspora delle 50 famiglie. Scoppiò l’allarme sociale.

Settembre 2024. Mauro Lombardo, sindaco di centro-sinistra di Guidonia-Montecelio, alle porte di Roma (circa 90.000 abitanti) prepara lo sgombero della baraccopoli di Albuccione, dove da anni vivono circa 220 persone, più della metà minori. Anche stavolta si parla di “sgombero indotto”. L’Amministrazione si inventa un altisonante “Patto di corresponsabilità”, con cui il Comune “si impegna ad erogare un contributo straordinario finalizzato al reperimento di una soluzione abitativa alternativa”. In parole povere – e questo i baraccati lo hanno capito subito – o con l’arrivo delle ruspe ci si allontana senza un euro, oppure si firma un foglio e si ricevono 500 euro a persona come “contributo per l’affitto”.

Nessuna delle famiglie presenti nell’insediamento ha un lavoro regolare, molte di essi non hanno neanche un documento utile a certificare una regolare condizione nel nostro Paese. “Ma quale affitto! Ci vogliono dare una mancia per lasciare qui la nostra casa – mi racconta Munevera – Abbiamo una casa, paghiamo le bollette elettriche, ci hanno lasciato per 15 anni e ora che fanno? Ci buttano per strada?”. I primi di ottobre 11 famiglie occupano lo stabile abbandonato di via Giotto. Scoppia anche stavolta l’allarme sociale.
Due storie dalle similitudini impressionanti. E nessuna lezione appresa.

Il 15 ottobre alle porte di Roma, a ridosso di via Tiburtina, come annunciato dal sindaco Mauro Lombardo, si realizzerà uno dei più grandi sgomberi di massa mai visto negli ultimi anni, con conseguenze già preannunciate. Andando contro il diritto internazionale (solo qualche mese fa l’Italia ha ricevuto una condanna da parte dell’Europa per la pratica degli sgomberi forzati) ma soprattutto contro il buon senso, che non ha colori politici.

Perché la stupida miopia, quella che getta in strada decine di famiglie senza soluzione abitativa, può anche pagare in termini di consenso politico ma non restituisce nulla in termini di benessere collettivo. La storia, ancora una volta, non insegna nulla quando sono gli analfabeti a sfogliare le sue pagine.

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