C’è anche il fratello del boss Michele Zagaria, Carmine Zagaria, tra i 24 indagati dell’inchiesta dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta sul tentativo di ricostruire le fazioni Schiavone e Zagaria del clan dei Casalesi. Il lavoro degli investigatori e dei pm ha ruotato intorno alla figura di Antonio Mezzero, 62 anni, clan Schiavone. Tornato libero nel 2022 dopo 24 anni di carcere, Mezzero è stato intercettato mentre provava a riorganizzare e ridefinire i confini della federazione mafiosa casalese e rilanciarne il sempreverde business delle estorsioni. La Dda di Napoli guidata da Nicola Gratteri aveva chiesto per tutti il carcere. Il Gip ha accolto la richiesta di misure cautelari per 14 indagati (9 in carcere, 5 ai domiciliari col braccialetto elettronico), rigettando per gli altri, tra cui Carmine Zagaria. Il fratello del boss era accusato di essere stato un mandante di una estorsione da 40mila euro intorno alla compravendita di un capannone commerciale a Francolise, conclusa per poco più di un milione di euro. Su quell’affare avevano messo gli occhi diversi camorristi e il compratore avrebbe dovuto fare fronte a domande di pizzo provenienti da due diversi ambienti criminali, ma connessi tra loro. Il venditore subì un’aggressione e ruzzolò per terra, poco prima del Natale 2022, ed alla fine dovette mollare i soldi.

Secondo il Gip, contro Carmine Zagaria mancano i gravi indizi di colpevolezza. Nelle intercettazioni viene “evocato a più riprese” il clan Zagaria e il riferimento al nome ‘Carmine’ ascoltato durante una conversazione dell’indagato Michele Mezzero, uno dei latori di Antonio Mezzero, (“sopra a 40, ventimila sono i miei e ventimila … sono “Zagaria” basta…”) potrebbe anche far pensare al fratello del boss storico e al carcere duro da quasi 15 anni. “Al contempo – scrive il giudice – non può sottacersi che, nell’unico frangente in cui si cita testualmente l’indagato, specificamente da Carlo Bianco, il contributo decisionale di Carmine Zagaria appare formulato in termini meramente ipotetici ed eventuali”. È il passaggio in cui Bianco dice: “Se Carmine (Carmine Zagaria) decide che riusciamo a fare una cosa ed esce tutto 40, allora dividiamoli”. Troppo poco per arrestarlo. Al contrario di quasi tutti gli altri personaggi coinvolti, per i quali le captazioni e gli altri indizi delineano un impianto accusatorio più solido. Antonio Mezzero, la figura di spicco tra gli arrestati del blitz di stamane, aveva provato a rilanciare il clan dei Casalesi costituendo un nuovo gruppo subito dopo la scarcerazione, nel quale aveva radunato familiari ed esponenti di spicco delle cosche sul territorio.

Con lui sono finiti in carcere il fratello Giuseppe, i nipoti Alessandro e Michele Mezzero, il 51enne Pietro Ligato, esponente dell’omonima famiglia criminale che da sempre controlla per conto dei Casalesi il territorio del comune di Pignataro Maggiore; Pietro è figlio del capoclan Raffaele Ligato, morto nel 2022 a 74 anni nel carcere di Milano-Opera, dove era ristretto al 41bis anche per l’omicidio del sindacalista Franco Imposimato, fratello del giudice Ferdinando Imposimato, che aveva indagato su camorra e terrorismo. Pietro Ligato è uno degli accusati dell’estorsione da 40mila euro intorno al capannone a Sant’Andrea del Pizzone, zona che riteneva di sua competenza; per questo il figlio del capoclan defunto si sarebbe fatto consegnare dal compratore 20mila euro “a titolo di mediazione per la vendita”. Solo che non ci fu nessuna mediazione. È Ligato jr l’autore dell’aggressione al venditore: “All’ennesimo mio diniego circa l’elargizione di danaro – si legge in un verbale della vittima – lui mi ha spinto violentemente, tant’è che sono rovinato a terra ed ho riportato un’ecchimosi all’occhio destro …”. “L’importanza dell’indagine che oggi ha portato a 14 arresti è data dal fatto che ancora una volta siamo riusciti ad intervenire allorquando personaggi carismatici del mondo criminale hanno cercato di ricostituire il clan dei Casalesi o sue frange” afferma il comandante provinciale dei carabinieri di Caserta Manuel Scarso. “C’è un tentativo ripetuto da parte di questi soggetti che escono dopo lunghi periodi di detenzioni, spesso dovute alle condanne del maxiprocesso Spartacus, di riprendere le fila del clan – dice Scarso – ma noi non stiamo a guardare. Non dobbiamo dare a questi personaggi criminali la possibilità di rialzare la testa, non dobbiamo dargli alcuno spazio, altrimenti tornano a radicarsi sul territorio. Anche perché il clan dei Casalesi ha un nome che ancora genera un certo appeal”.

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