Salute

Al pronto soccorso di Lamezia Terme va in scena ogni giorno una graduale sfiducia verso la sanità pubblica

di Fiore Isabella

Qualche sera fa, come ogni giorno, al pronto soccorso del Giovanni Paolo II di Lamezia Terme si è vissuta l’esperienza del venir meno graduale della fiducia verso un servizio sanitario che vede, giorno dopo giorno, recidersi il rapporto ombelicale con l’art. 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”

Il display, che registrava gli avventori acciaccati, si muoveva troppo a rilento, mentre una ventina di pazienti aspettavano, dopo la burocratica sosta al triage, di essere presi in carico da un medico del Pronto Soccorso, per essere rassicurati sulla natura dei loro malesseri. Gli ingredienti c’erano tutti per delineare quadri clinici variegati: c’erano i più avanti con l’età con i dolori al petto che da ore attendevano di essere visitati e magari, dopo l’elettrocardiogramma di prammatica, essere sottoposti ad un primo controllo della troponina per avere la certezza che non ci fosse in atto un infarto, nel qual caso sarebbe stato obbligatorio il ricovero e non il parcheggio in un atrio desolato su una sedia di metallo.

E quando un paziente, da ore e ore in attesa, ha chiesto all’infermiera del triage, gentile e disarmata, se era possibile avere una barella per potersi sdraiare onde evitare, essendo portatore di una arteriopatia estremamente seria, gli immancabili gonfiori agli arti inferiori si è sentito rispondere che forse qualche barella disponibile poteva essere trovata, ma con un limite temporale di occupazione per via di un più che probabile arrivo di qualche paziente da codice rosso, ovviamente più bisognoso di lui.

Un quadro di desolazione e di impotenza che non chiama in causa i pochissimi medici e infermieri del Pronto Soccorso, peraltro eroici e non solo bravi, ma i vertici della sanità calabrese che hanno ridotto i Pronto soccorso a copie sbiadite delle infermerie presidiarie tragicamente presenti nei luoghi di guerra. Due o tre medici, e altrettante unità di infermieri, che coprono un turno di lavoro al cospetto di pazienti che, al di là della gravità delle patologie per le quali ricorrono al Pronto Soccorso, devono far fronte a decine e decine di pazienti che per tante ore aspettano, spesso psicologicamente provati, di capire i motivi dei loro malesseri.

A nulla valgono, a tal proposito, i richiami retorici di chi governa la sanità in Calabria ai cosiddetti “malati immaginari” che graverebbero su coloro che del pronto soccorso avrebbero reale bisogno. Ricordo a costoro che, come suggerisce Il malato immaginario di Molière, si può morire anche sulla scena e un pronto soccorso, questo è assolutamente certo, non è un palcoscenico frequentato da “Arganti” colpiti da crisi ipocondriache.

E anche se così fosse, rimane una realtà intrisa di criticità documentate dagli episodi che mi hanno visto testimone; fatti che dovrebbero preoccupare i super commissari, i commissari, i sub commissari alla sanità e i direttori generali e sanitari, in poche parole la politica, sul perché, qualche sera fa, due sospetti infartuati, una signora con colica addominale e un’altra vittima di uno svenimento – ragione per la quale era lì – dopo ore e ore di attesa hanno preferito andarsene a casa con tutte le incognite del caso, piuttosto che aspettare Godot.

Un ultimo e definitivo interrogativo, a proposito dell’ospedale lametino, da porre al presidente della Giunta Regionale della Calabria Occhiuto, al commissario dell’Asp di Catanzaro, generale Battistini, nella speranza che trovino il tempo di rispondere: dove sono finiti i 17 medici del reparto, i 4 dell’ambulatorio codici bianchi, i 22 infermieri e i 12 Oss dell’organico del Pronto Soccorso di Lamezia Terme di cui all’ultimo aggiornamento del 22 giugno 2022 – non di cento anni fa?

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