“Mio padre di diceva “sarà stato qualcun altro” e io dicevo “forse sono stato io“, ma mio padre era convinto fosse stato qualcun altro. Alla fine quella mattina gliel’ho detto che ero stato io, ma lui non ci credeva. Io volevo già andarmi a costituire la sera stessa ma i miei genitori non ci credevano”. Daniele Rezza, il ragazzo che ha confessato l’omicidio di Manuel Mastrapasqua perché stava resistendo a una rapina, ha raccontato anche questo al giudice per le indagini preliminari di Milano, che ieri ha convalidato il fermo disposto dalla procura e ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare.

“Quando ho scoperto che il ragazzo era morto non è stato un granché, mi sentivo vuoto, a me dispiace, non conosco la famiglia di questo, ma ho tolto la vita a un cristiano che è figlio di qualcuno. Anche mio padre e mia madre dargli questa disgrazia…non se lo sarebbero mai aspettato – ha raccontato – All’inizio gli volevo prendere tutto, tutte le cose, in generale. Appena l’ho visto in lontananza mi è partita la decisione di prendergli tutto, tutto quello che aveva. Mi sono avvicinato al giovane ad una distanza di circa due metri, un metro e mezzo, gli ho direttamente strappato le cuffie che aveva messe dietro la nuca, al collo. Lui allora si è avventato su di me, non è che mi ha tirato pugni, non mi ricordo le cose specifiche perché non ero molto lucido, avendo bevuto un bel po’” ha spiegato agli investigatori dichiarando di aver bevuto circa 5-6 drink, poi due bottiglie di vodka. “Ha iniziato a colpirmi, ricordo due colpi, ma non mi ricordo il modo preciso. Poi arriva l’adrenalina, mi difendo e ho preso il coltello conficcandoglielo sul petto ma l’ho tolto subito e non ho visto il sangue. Ho sentito solo un sospiro, qualcosa, e da lì sarà caduto a terra ma non ci ho fatto caso, perché sono scappato subito dopo averlo accoltellato”.

Rezza è poi tornato a casa. “Ho dormito tranquillo senza sapere che fosse morto. Al mattino ho aperto TikTok e ho visto la notizia di un ragazzo morto a Rozzano e ho pensato che ero stato io, perché la via era quella, il punto era quello, anche se mi sembrava che il corpo fosse a qualche metro di distanza da dove l’ho accoltellato. La mattina anche mia mamma mi ha fatto vedere la notizia che un ragazzo di 31 anni era deceduto a Rozzano. Mio padre era incredulo secondo me: come ci rimani quando pensi che un figlio di 19 anni uccide una persona? Mio padre mi diceva ‘sarà stato qualcuno’ e io dicevo ‘forse sono stato io’, ma mio padre era convinto che fosse stato qualcun altro. Alla fine quella mattina (11 ottobre, ndr) gliel’ho detto che ero stato io, ma lui non ci credeva”. Poi il giovane cambia idea, decide di scappare e il padre getta via le cuffie del valore di 15 euro strappate alla vittima. Ad Alessandria, dopo un controllo degli agenti della Polfer che lo avevano visto disorientato, crolla: “Ho fatto una caz…a”.

Il padre del giovane, che è sotto tutela insieme alla moglie per alcune minacce ricevute sui profili social, ha giustificato il suo comportamento con l’incredulità parlando con alcuni quotidiani: “È rientrato in casa e mi ha detto che aveva litigato con un altro ragazzo. Mi ha detto che forse gli aveva tirato una pugnalata, poi si è messo a ridere. Non so se era ubriaco o aveva fumato qualcosa. Gli ho detto di smetterla di scherzare e sono andato a letto. Dell’omicidio ho saputo quando mi sono svegliato, ho letto le cronache di Rozzano e ho iniziato a collegare con quello che mi aveva detto mio figlio. Non sapevo cosa dovevo fare. Vedevo mio figlio nervoso e gli ho chiesto se fosse stato lui. Prima mi ha detto di sì, poi no, e non capivo se scherzasse. La cosa è finita lì”.

Nei confronti del 19enne c’è “un grave quadro indiziario della volontà omicida” scrive il gip Domenico Santoro nel provvedimento con cui convalida il fermo e il carcere. “Il tipo di arma usata per attingere li predetto, la sua micidialità, la posizione reciproca tra aggressore e vittima (assolutamente prossima), la breve distanza dalla quale, pertanto, è stata inferta la coltellata, la parte vitale del corpo del Mastrapasqua oggetto di mira (il torace) e, conseguentemente, attinta, risultano univoca dimostrazione, allo stato degli atti, dell’intento del Rezza di uccidere, senza che spazio possa in atto aprirsi a dubbi sul reale suo intento”.

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