Società

L’imbarazzo di noi figli dei partigiani della pace verso la sinistra: una guerra a nostra insaputa

Nell’Anno Santo 1950, il Comitato Provinciale dei Partigiani della Pace, assieme a vari sindaci dell’astigiano, organizzò la Marcia per la Pace in adesione all’appello di Stoccolma contro la bomba atomica. Tra questi sindaci, c’era mio zio Ernesto Currado da Portacomaro (Figura 1). Non avrebbe potuto darmi un migliore benvenuto in questo mondo.

Tra il 1949 e il 1956, i “Partigiani della pace” aderivano al movimento internazionale che nel marzo di quell’anno rivolse al mondo l’Appello di Stoccolma. Raccolse nel mondo oltre 500 milioni di adesioni (v. Figura 2). Questo movimento, promosso in Italia dai partiti Comunista e Socialista, chiedeva non solo di proibire l’uso delle armi atomiche, ma di “cessare le guerre coloniali, ridurre i bilanci di guerra e gli effettivi militari, firmare un patto di pace tra le grandi potenze in sede Onu”. Nel 1953, il neo-presidente Eisenhower, repubblicano, cambiò registro dando vita alla politica della distensione, iniziata con l’armistizio che pose fine alla guerra in Corea.

Nel 1964, due psicanalisti italiani, Franco Fornari e Gino Pagliarani, proposero in Italia alcune riflessioni sul rischio allora concreto di un conflitto nucleare. L’esperienza si allargò a un impegno civile diretto che ebbe un forte impatto non soltanto sul mondo della psicologia. Nel 1968, questa esperienza fu narrata in un libro di Fornari dal titolo impegnativo, Dissacrazione della Guerra. Dal pacifismo alla scienza dei conflitti (Feltrinelli, 1969, v. Figura 3). Conteneva un contributo di Pagliarani dal titolo chiarissimo: “Si può organizzare la speranza?”.

Allora si poteva. Erano gli anni della guerra vietnamita, a cui pose fine un altro presidente repubblicano, Nixon, assai più controverso di Ike Eisenhower. Ricordo la moltitudine giovani che, sulle note di You Haven’t Done Nothin’ di Stevie Wonder e Mr President di Randy Newman, festeggiarono le sue dimissioni ballando sulla University Avenue di Berkeley fino a tarda notte. C’ero anch’io.

Oggi, evaporata perfino la plurisecolare neutralità svedese e svanito il pacifismo verde dell’ambientalismo contemporaneo, la pace non fa più parte della cultura cosiddetta occidentale, anche in chiave progressista. Soltanto la lezione di Papa Francesco sfonda il muro dell’indifferenza per le guerre a nostra insaputa. Ma rimane del tutto inascoltata, così come tutte le iniziative che aspirano a costruire una cultura della pace, comprese quelle di chi ripropone in chiave contemporanea l’esperienza di Pagliarani e Fornari (La guerra è finita, a cura di D. Miscioscia, La Meridiana, 2024).

Per uno scherzo del destino, l’enorme diffusione sui social delle informazioni in tempo reale sui campi di battaglia scavalca i vari tentativi di censura, ma non si tramuta in consapevolezza, sdegno, ribellione politica. Né, tantomeno, si traduce in un impegno nell’urna elettorale. Tutto naufraga nell’apatia e dell’indifferenza, assimilato ai messaggi più insulsi e talora fraudolenti che influenzano il mondo giovanile come quello senile.

In Italia, quasi tutta la politica supporta la guerra ucraina tranne l’eccezione gialloverde, che terminò in modo traumatico la propria esperienza di governo, durata solo un anno, ponendo i due ex-alleati agli opposti estremi dell’arco parlamentare su qualunque altro tema tranne la guerra. Per tutti, la guerra rimane un concetto astratto e, in sostanza, una voce di bilancio che non si può neanche discutere.

Il conflitto ucraino, che rischia di allargare il fronte a scala europea e perfino mondiale, ricorda a molti la prima guerra mondiale. Nel 1914 l’opinione pubblica italiana era in maggioranza contraria alla guerra, dai liberali di Giolitti ai cattolici di Frassati e ai socialisti di Turati, Treves e Anna Kulisciova. Ciò nonostante, l’Italia entrò in guerra e finì da vincitrice, ma pianse quasi un milione di vittime.

L’opinione pubblica di oggi ha lo stesso entusiasmo del 1940, quando applaudì la decisione irrevocabile di entrare in guerra? Ne dubito. Ma, assecondando la vulgata neoliberista, il silenzio è assenso. E, mentre la guerra a nostra insaputa avanza, la pace a nostra insaputa è abbastanza improbabile.

A eccezione della lunga esperienza democristiana e del gesto orgoglioso del socialista Craxi a Sigonella, chi governa il nostro paese, messo alle strette, ha sempre scelto la guerra. Negli ultimi 30 anni, l’Italia governata dalla sinistra ha partecipato attivamente alle guerre balcaniche. E l’Italia governata dalla destra ha appoggiato incondizionatamente le guerre preventive in Iraq e in Afghanistan. Se nell’immaginario collettivo la destra di governo dovrebbe incarnare uno spirito un po’ bellicoso, chi s’ispira a una cultura progressista sorprende e imbarazza molti baby boomer, eredi dei Partigiani della Pace. La trasfigurazione del Fronte Popolare di mio zio Ernesto nell’odierno Partito Democratico merita un approfondimento. Lo faremo nella prossima puntata.