Politica

Migranti, duro attacco di Meloni alle ong. E sull’Albania anticipa lo scontro con le toghe: “Strada che rispecchia lo spirito europeo”

Questione di giorni e andrà in scena un nuovo scontro tra governo e magistratura, stavolta sui trattenimenti dei richiedenti asilo nei centri in Albania, operativi da questa settimana. Giusto il tempo di far arrivare nell’hotspot allestito nel porto di Shengjin i 6 egiziani e 10 bangladesi attualmente a bordo della nave Libra della Marina Militare, […]

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Questione di giorni e andrà in scena un nuovo scontro tra governo e magistratura, stavolta sui trattenimenti dei richiedenti asilo nei centri in Albania, operativi da questa settimana. Giusto il tempo di far arrivare nell’hotspot allestito nel porto di Shengjin i 6 egiziani e 10 bangladesi attualmente a bordo della nave Libra della Marina Militare, partita ieri da Lampedusa dopo uno screening per escludere donne, minori, vulnerabili e persone provenienti da Paesi che l’Italia non considera sicuri ai fini delle procedure d’asilo. Sedici, dunque. Un numero esiguo di fronte agli sbarchi delle ultime ore, ma anche solo per il pattugliatore che può portare fino a 200 passeggeri, difficilmente giustificabile di fronte ai costi di navigazione di un’unità da 80 metri di lunghezza come la Libra. E tuttavia i 16 migranti basteranno a scatenare il governo nei confronti dei giudici che dovranno convalidare i trattenimenti nei centri albanesi e non possono sottrarsi alla sentenza della Corte di giustizia Ue che ha minato il fondamento giuridico dell’operazione in Albania. Sentenza che il governo si è ben guardato dal commentare e così ha fatto oggi Giorgia Meloni nelle comunicazioni al Senato sul prossimo Consiglio Ue del 16-18 ottobre. La premier ha preferito rincarare le accuse alle ong dopo il tweet col quale domenica sera aveva risposto all’organizzazione tedesca Sea Watch che aveva accusato il governo di “deportare e incarcerare qualche migliaia di migranti in Albania”.

Dopo aver rivendicato l’interesse di altri leader europei, e della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, per l’azione del suo governo e la riduzione degli sbarchi – del 60% rispetto al 2023 e del 30% rispetto al 2022 -, Meloni ha difeso il ministro dei Trasporti Matteo Salvini e la Guardia costiera dagli “attacchi faziosi di organizzazioni politicizzate che detestano chiunque lavori per contrastare l’immigrazione illegale di massa”. Una a caso, la stessa Sea Watch con cui aveva battibeccato su X alle 11 di sera di domenica. “Considero vergognoso che l’organizzazione non governativa Sea Watch definisca le guardie costiere “i veri trafficanti di uomini”, volendo delegittimare tutte quelle degli Stati del nord Africa, e magari anche quella italiana, in modo da dare via libera agli scafisti che questa ONG descrive invece come innocenti, che si sarebbero ritrovati casualmente a guidare imbarcazioni piene di immigrati illegali. Sono dichiarazioni indegne, che gettano la maschera sul ruolo giocato da alcune ONG e sulle responsabilità di chi le finanzia”. Inchieste recenti e indagini, anche delle Nazioni Unite, sulle connivenze della cosiddetta guardia costiera libica, ma anche degli abusi registrati sempre dall’Onu in Tunisia, non trovano posto nelle parole della premier, decisa a difendere la strategia del governo che, ha detto una volta di più, fa da apripista all’Unione europea e su questo è difficile darle torto.

In ogni caso, lo scontro con Sea Watch distrae, almeno un po’, dalle minuscole dimensioni del varo dei trasferimenti in Albania. Nelle ultime 24 ore a Lampedusa sono sbarcate più di mille persone, il paragone con i 16 imbarcati sulla Libra è impietoso e infatti Meloni non entra nei dettagli, limitandosi a difendere le ragioni dell’operazione: “Dobbiamo continuare a esplorare soluzioni innovative”. E poi: “L’Italia ha dato il buon esempio con la sottoscrizione del Protocollo Italia-Albania, per processare in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana ed europea, le richieste di asilo. Ci siamo presi del tempo in più perché tutto fosse fatto nel migliore dei modi, ma siamo molto soddisfatti dei risultati di questo lavoro”. Ringrazia i suoi ministri, “in particolare Crosetto, Piantedosi e Nordio, il Sottosegretario Mantovano e la nostra Ambasciata in Albania”, e ribadisce: “È una strada nuova, coraggiosa, inedita, ma che rispecchia perfettamente lo spirito europeo e che ha tutte le carte in regola per essere percorsa anche con altre Nazioni extra-Ue”. Ed è in quest’ultima frase che emerge quanto già detto con toni più espliciti dagli stessi Piantedosi e Mantovano, e cioè che c’è una “magistratura ideologizzata”.

“Quando per esempio nella disciplina dei migranti un giudice dice e scrive nei provvedimenti che deve essere il giudice l’arbitro della decisione dei paesi cosiddetti sicuri, mi pare che sia un’entrata a piedi uniti in un’area che non è la propria, perché la determinazione dei paesi sicuri viene fuori da un procedimento abbastanza complesso che spetta al governo”, ha detto Mantovano nei giorni scorsi. Col ministro dell’interno Piantedosi ad assicurare che “siamo pronti a impugnare le sentenze dei giudici e a portarle al giudizio delle massime giurisdizioni del nostro Paese. I giudici competenti per i centri albanesi sono quelli del Tribunale di Roma e, forse già venerdì, dovranno convalidare i trattenimenti degli eziziani e bangladesi che avranno fatto richiesta di asilo. Ai fini delle procedure accelerato di esame delle domande d’asilo, le uniche da fare in Albania, Egitto e Bangladesh sono Paesi d’origine che l’Italia considera sicuri, ma ad esclusione di alcune categorie di persone a rischio. La Corte Ue ha chiarito che il diritto europeo vigente non ammette eccezioni: un Paese sicuro lo è per tutti o nessuno. Obbligati a tenere conto del pronunciamento dei giudici di Lussemburgo, i magistrati romani non potranno convalidare i trattenimenti in Albania, il cui presupposto è appunto la provenienza da Paese d’origine sicuro. Il governo ha deciso di tirare dritto e portare in Albania persone che, dice la Corte Ue, in base al diritto vigente non possono essere rinchiuse in quei centri. Ma lo fa senza entrare nel merito, senza nominare la Corte di giustizia e concentrandosi ancora una volta sulle nostrane “toghe rosse”. Anche il discorso di Meloni in Senato sposta tutto su un unico piano, quello politico. La premier si limita a parlare di operazione che “rispecchia lo spirito europeo”, quando all’indomani dell’accordo con l’Albania aveva assicurato che “il Protocollo non viola diritto dell’Unione europea“. Ora che una sentenza della Corte Ue dice il contrario, Meloni apparecchia lo scontro: da un lato i magistrati italiani, dall’altro niente meno che lo “spirito europeo”.

Poco importa se nel mezzo c’è addirittura la Costituzione italiana, che all’articolo 117 impone il rispetto “dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. “Ormai le politiche migratorie del Governo italiano sono diventate le politiche migratorie dell’Ue. La presidente von der Leyen ha inviato, come di consueto, prima del Consiglio europeo, una lettera ai leader dei Paesi membri sulle iniziative della Commissione, partendo dalla constatazione che le misure assunte sulla dimensione esterna consentono di fatto di ridurre la migrazione illegale, come noi di fatto abbiamo sempre sostenuto e dimostrato, dopodiché delinea una linea d’azione in dieci punti”, tra l’altro “citando in modo specifico l’accordo con l’Albania“, ha detto Meloni qualche ora dopo, nelle sue repliche alla Camera, rispondendo alle parole della capogruppo del Pd a Montecitorio, Chiara Braga, secondo la quale “le politiche migratorie del Governo violano gli accordi internazionali”. Come dire, tutti se ne facciano una ragione, giudici compresi.