Sulle vetture ecologiche circolano molti falsi miti: proviamo a smontarli uno ad uno con il cronista di Presadiretta
Costosa, inquinante, a rischio esplosione, difficile da ricaricare e con batterie impossibili da smaltire: in altre parole, una “fregatura” da cui tenersi lontano. L’auto elettrica, in Italia, è sotto attacco. Inspiegabilmente, però, perché nel resto del mondo le vendite si impennano e nel 2023 la Tesla Model Y è stata l’auto più venduta al mondo, le auto elettriche per la prima volta hanno superato il diesel, mentre da noi le vendite faticano ad arrivare al 4% (in Francia, Regno Unito e Germania si viaggia verso il 20%, in Olanda il 30%). Per sfatare stereotipi e cattivi miti, il giornalista Alessandro Macina ha scritto un libro chiaro e illuminante “Chi ha paura dell’auto elettrica? Otto fake news alla prova dei fatti” (Edizioni Dedalo). Un libro che si interroga su come l’auto elettrica “sia diventata la summa di tutte le follie green e le ideologie ambientaliste”. Eppure, come ha ribadito l’International Energy Agency, con le politiche in essere al 2030 le auto elettriche saranno dieci volte più numerose di oggi.
Troppo costosa? Non proprio – La prima obiezione che il libro analizza riguarda il fatto che l’auto elettrica sia troppo costosa. “Ho dimostrato nel libro”, spiega l’autore, “che non è così perché nella fascia medio alta è già stato raggiunto un sostanziale pareggio – e parlo dei costruttori europei, non dei cinesi, dove la situazione è già competitiva su tutti i fronti. Il pareggio tra endotermico ed elettrico sarebbe già stato raggiunto se non ci fosse stata la guerra, la crisi dei microchip e le difficoltà di approvvigionamento dei materiali. Ma intorno al 2027 si raggiungerà”. È vero, le macchine elettriche economiche costano il 30% in più, ma si tratta di una differenza provvisoria. A maggior ragione appaiono però del tutto insensati, e unici in Italia, gli incentivi a pioggia che ancora quest’anno continueranno a premiare l’acquisto di auto che emettono CO2.
Ma rispetto ai costi c’è un altro aspetto: per le macchine non dobbiamo considerare solo il prezzo di acquisto ma il costo totale dell’automobile. E qui l’auto elettrica risulta già più competitiva nell’auto endotermica fino anche al 20% in meno. Queste macchine, infatti, sono praticamente senza manutenzione, prive di bollo e con un’assicurazione più bassa.
Falsamente green? Un’accusa davvero fake – L’altra calunnia che viene mossa all’auto elettrica è di non essere veramente green. “Questa è l’accusa più forte”, spiega il giornalista, “perché ribalta completamente la narrazione. Curioso che, in tutto ciò, dimentichiamo i 4 miliardi di tonnellate di petrolio che ogni anno servono per far muovere i trasporti”. L’auto elettrica emette meno CO2 anche nella peggiore delle situazioni, quella di un’auto elettrica costruita in un Paese alimentato da combustibili fossili e con un sistema energetico sempre fossile: circa un 30% in meno, ma in media il 50% in meno. Ma le previsioni sono che da qui al 2030, considerato lo scenario di decarbonizzazione dell’Unione Europea anche dell’energia elettrica, l’auto elettrica emetterà cinque volte di meno dell’auto endotermica.
Ci si dimentica inoltre che quando parliamo di auto elettrica del tema della qualità dell’aria: il 97% della popolazione urbana in Europa respira aria inquinata, tossica anche sopra i livelli consigliati dall’Organizzazione mondiale della sanità. E le auto giocano un ruolo fondamentale su questo non se ne parla”. Secondo uno studio del CNR una diffusione delle auto elettriche abbatterebbe il biossido di azoto nelle città in soli cinque anni, riducendo massicciamente anche le polveri sottili. Meno malattie, meno morti, dunque.
Fare a meno del cobalto si può – Altra disinformazione molto diffusa è quella sui materiali necessari per l’auto elettrica, a partire dalle famose terre rare. “Se ne è parlato tantissimo, come se queste macchine fossero fatte di terre rare che in realtà non si trovano neanche nelle batterie, ma nel motore e per le quali esistono già altre soluzioni”, spiega Mari. Anche sulla questione del cobalto e delle miniere in Congo è bene ricordare che “il cobalto in realtà si sta abbandonando perché la chimica vincente e sempre più utilizzata dai maggiori produttori di auto e Litio Ferro Fosfato quindi senza cobalto”.
E l’annoso problema di smaltimento delle batterie? Anche qui la risposta è chiara: “Le batterie che si esauriscono dopo dieci quindici anni di vita nell’auto elettrica possono avere una seconda vita come batteria di accumulo. Oppure possono essere riciclate, nel senso che i materiali che la compongono possono essere riciclati fino al 90%. La mobilità elettrica ha la possibilità di offrire una economia circolare”. C’è da chiedersi però, nota l’autore, perché prima dell’auto elettrica la “sostenibilità dell’industria mineraria non interessasse a nessuno”.
Ricaricare è possibile. Ed economico – Sull’accusa di presunta pericolosità il libro taglia corto: “I protocolli sono severissimi e i dati dimostrano che in realtà la probabilità di incendio è molto minore in un’auto elettrica, da dieci fino anche a 50-60 volte minore rispetto a una termica: una media di 25,1 incendi ogni 100 000 incidenti, contro i 1529 delle vetture tradizionali”.
Quanto al sistema delle colonnine, definite troppo poche e mal funzionanti Mari spiega. “In realtà le colonnine ci sono, sono più di 50.000, ma è vero che non sono distribuite in maniera uniforme tra centro città e periferia, tra nord Italia e centro-sud Italia: è questo che crea la percezione che le rete non sia capillare. Esiste poi anche un problema legato all’anomalia delle tariffe. Purtroppo le compagnie hanno fatto un cartello alzando i prezzi, scoraggiando le persone. È un cane che si morde la coda, ma l’automobilista elettrico attento riesce comunque a trovare delle soluzioni di abbonamento che gli permettano di avere una situazione conveniente. Io con 80€ al mese riesco a ricaricare fino 200 chilowatt, quindi praticamente all’infinito”.
Alla fine, il problema è culturale. Si fa fatica a cambiare il modo di ricaricare l’auto, di pensarla e guidarla. Resta però una considerazione amara: “Noi stiamo facendo una battaglia di retroguardia, difendendo un settore che nei prossimi anni andrà a perdere ulteriormente posti di lavoro”, conclude l’autore. “Serve una politica industriale per riconvertire quello che noi abbiamo alla nuova industria automobilistica mondiale, dove la Cina gioca un ruolo centrale. Se non ci mettiamo anche noi in questa partita rischiamo di diventare veramente una periferia industriale come già siamo”.