La delocalizzazione degli esseri umani, come oggetti, come pesi morti, come spazzatura da portare in discarica. I primi migranti detenuti sono stati caricati su una nave che da Lampedusa li farà sbarcare in Albania, paese dove il governo italiano ha costruito due hotspot per trattenerli, più un carcere per essere pronti ad arrestarli qualora commettessero un reato. Scelta provvida, quest’ultima, vista la prossima introduzione del reato di rivolta nei centri per migranti, configurabile anche nei casi di resistenza passiva (per definizione: quando non si fa nulla).

In quei luoghi senza legge che sono tali centri, dove non vi è alcuna regolamentazione formale degli standard di vita interna e pochissima supervisione indipendente, la resistenza passiva è spesso il solo modo che rimane per dire al mondo e a se stessi che si è vivi, che si è ancora uomini e donne, che si è qualcosa di più di un corpo fisico abbandonato lì.

Il mercato globale ci ha abituati alla delocalizzazione delle produzioni e dei servizi. I paesi ricchi vanno nei paesi poveri per sfruttare manodopera a basso costo. Da qualche anno delocalizziamo le persone. I paesi ricchi vanno nei paesi poveri per depositare chi non ha più diritti ed è solo un fastidio e un costo a perdere. Basta pagare e il fastidio non c’è più. Si può fare preventivamente, come quando nel 2017 l’Italia scelse di pagare la Libia (ovvero le bande criminali che se la contendevano) affinché bloccasse con qualsiasi mezzo – anche la morte o la tortura – chi voleva raggiungere le nostre coste. Nel dicembre 2021 la Danimarca decise di pagare il Kosovo affinché si prendesse qualche centinaio di detenuti condannati da tribunali danesi che affollavano le carceri del Regno. Oggi il governo italiano paga l’Albania, secondo un accordo firmato nel novembre scorso, per detenere migranti al posto nostro, senza dimenticare di arrestarli quando fosse opportuno.

Chi ha creduto nel sogno europeo ha sperato nella libera circolazione delle persone che ha seguito la libera circolazione delle merci. Come in un quadro dalla prospettiva allucinata e distorta, assistiamo adesso alla deportazione delle persone che segue l’ormai consolidata deportazione della forza lavoro per la produzione di merci.

I costi del protocollo Italia-Albania sono enormi (oltre 650 milioni di euro in cinque anni) e non del tutto chiari (il ministro Piantedosi ha ammesso la necessità di un sovrappiù che li porterebbe a circa 800 milioni). Il piccolo carcere per migranti esternalizzati sottrarrà al già insufficiente personale del sistema penitenziario italiano 45 persone tra poliziotti e dirigenti, le quali partiranno per l’Albania attratte da uno stipendio triplicato. Un’operazione propagandistica che si ripercuoterà sulle nostre tasche e non servirà a niente. Ma per questo poco male, ne abbiamo viste tante. Il dramma è che, con la partenza odierna di quella manciata di primi esseri umani delocalizzati in Albania, abbiamo messo un tassello che pesa come un macigno nella pratica di delocalizzazione degli scarti umani da imprigionare. Lo fa l’Italia, paese tra i fondatori del Consiglio d’Europa, tra i fondatori dell’Unione Europea.

Si può fare, lo può fare chiunque. Soldi in cambio di persone da detenere. Migranti in detenzione amministrativa, persone condannate penalmente, portate lontane dalle loro famiglie, dai loro avvocati, dai magistrati di sorveglianza. O magari un domani minorenni incarcerati, donne allontanate dai figli, chi lo sa?

Per adesso i due centri italiani in terra albanese dovrebbero recludere, nelle intenzioni del governo Meloni, maschi adulti provenienti da paesi qualificati come sicuri mentre la loro richiesta di asilo viene esaminata. Lo scorso 4 ottobre la Corte di giustizia europea, in una sentenza riguardante un cittadino della Moldavia in Repubblica Ceca, ha fatto alcune precisazioni a proposito di cosa significhi che un paese è sicuro. Il decreto governativo del maggio 2024 che aggiorna al rialzo l’elenco di quelli considerati tali dall’Italia – così da poter sottoporre più persone richiedenti protezione internazionale alla procedura accelerata, con conseguente restrizione delle garanzie – è vergognosamente esteso. Basti dire che l’Egitto è considerato un paese sicuro. Dopo aver torturato a morte Giulio Regeni.

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