di Davide

Negli ultimi anni, l’Italia ha visto una progressiva fuga di multinazionali, che nel 2023 e 2024 ha toccato nuovi picchi. Con oltre 35.000 lavoratori che hanno perso il lavoro, aziende come Stellantis, Whirlpool e altre realtà minori hanno chiuso stabilimenti o ridotto la loro presenza in Italia, principalmente per delocalizzare verso paesi con costi del lavoro più bassi e una fiscalità più favorevole. Il governo Meloni, sebbene si dichiari nazionalista, ha adottato una strategia fallimentare, cercando di mediare senza ottenere risultati significativi.

Stellantis, una delle realtà più emblematiche del settore automobilistico, ha ridotto la produzione in Italia per concentrarsi su mercati come quello cinese. Questa decisione segue la chiusura dello stabilimento Whirlpool di Napoli, che ha colpito oltre 400 lavoratori, e l’annuncio di licenziamenti da parte di altre multinazionali in settori strategici per l’economia italiana. Tuttavia, ciò che risulta più sconfortante è l’assenza di una strategia chiara da parte del governo per trattenere queste aziende e rilanciare l’industria nazionale.

Uno degli esempi più critici della mancanza di visione industriale del governo Meloni è l’assenza di piani a lungo termine per attrarre investimenti.

Il paradosso sta nel fatto che, pur dichiarandosi a favore della produzione nazionale, il governo Meloni sembra puntare su investimenti esteri, in particolare quelli provenienti dalla Cina. Nel settore automobilistico, le collaborazioni con aziende cinesi per la produzione di veicoli elettrici sono state viste come un modo per rilanciare l’economia, ma allo stesso tempo dimostrano la debolezza della politica industriale nazionale. La dipendenza da capitali esteri, in particolare cinesi, è in netto contrasto con la retorica nazionalista che dovrebbe puntare a valorizzare l’industria interna.

Molte imprese preferiscono spostarsi in paesi come la Polonia o la Spagna, dove trovano condizioni più vantaggiose sia dal punto di vista economico che normativo. Inoltre, l’Italia è vista come un paese difficile per chi vuole fare impresa, soprattutto a causa della lentezza della giustizia e delle numerose autorizzazioni richieste per avviare o espandere un’attività.

Un altro aspetto che preoccupa gli economisti è la mancanza di un piano di innovazione e di digitalizzazione che possa rendere il paese competitivo a livello internazionale. Nonostante i fondi europei messi a disposizione, il governo non ha saputo sfruttarli in maniera efficace per attrarre investimenti e innovare il tessuto produttivo.

L’Italia rischia di perdere ulteriormente competitività se non si interviene rapidamente. Il governo Meloni deve prendere atto che il tempo dei proclami è finito e deve intraprendere una serie di riforme per facilitare gli investimenti e sostenere la crescita delle imprese, potrebbe iniziare con alcune proposte concrete:
1. Detassare il lavoro: abbassare il cuneo fiscale per rendere l’Italia più attrattiva per gli investitori.
2. Redistribuire gli utili: implementare una legge che obblighi le aziende a destinare una parte degli utili ai lavoratori, creando un maggiore incentivo alla produttività.
3. Corsia preferenziale per la giustizia: accelerare i tempi della giustizia per le imprese,
4. Riduzione della burocrazia: semplificare drasticamente i permessi richiesti alle imprese.
5. Abbassare costo energia per le imprese
6. Eliminare le tax expenditures: togliere le varie agevolazioni fiscali obsolete, che attualmente costano oltre 120 miliardi di euro e utilizzare questi fondi per abbassare le tasse alle imprese innovative.
7. Incentivare le PMI: facilitare e incentivare fusioni o agglomerazioni tra piccole e medie imprese italiane, creando poli industriali più forti e competitivi.

Queste misure, se implementate correttamente, potrebbero rappresentare un primo passo verso un rilancio industriale dell’Italia, favorendo la crescita e prevenendo l’ulteriore fuga delle multinazionali. Che il governo batta un colpo.

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