Il detective Brian Wharton era stato decisivo nel convincere i giudici a condannarlo. Oggi però, 20 anni dopo, è “fermamente convinto della sua innocenza” e lo ha dichiarato pubblicamente al New York Times. Ma per Robert Roberson la giustizia degli Stati Uniti ha già deciso: la sua esecuzione è in programma giovedì 17 ottobre. Roberson è stato condannato alla pena capitale per aver ucciso oltre venti anni fa la figlia di due anni Nikki scuotendola violentemente e provocandole un trauma cranico letale. Questo, almeno, secondo chi lo accusa, convinto che la piccola sia appunto morta per la “sindrome del bambino scosso”. Gli avvocati di Roberson però, ai cui sforzi per salvargli la vita si è unito anche lo scrittore John Grisham, insistono sulle nuove evidenze emerse nel corso degli anni e sul fatto che la diagnosi fosse errata. In primo luogo, Roberson è affetto da autismo ragione per cui, quando portò la figlia ormai esanime in ospedale, mantenne un atteggiamento distaccato e un volto inespressivo mentre la bambina versava in condizioni drammatiche. Inoltre nuove evidenze mediche e scientifiche hanno messo in luce che Nikki non sia morta per la sindrome a seguito della quale il padre dovrebbe ricevere l’iniezione letale, ma per una polmonite e a causa dell’assunzione di un farmaco assunto ore prima che ne compromise la situazione. Tutti elementi sui quali anche la Camera del Texas, a maggioranza repubblicana, è intervenuta, chiedendo che non si proceda all’esecuzione.
Cos’è la “shaken baby syndrome” – Descritta per la prima volta a metà degli anni ’70, secondo i legali del condannato è oggi screditata negli ambienti medici. “Roberson potrebbe morire il 17 ottobre per un delitto che non è mai successo”, ha dichiarato John Grisham. I fatti sono avvenuti nel 2002 nella cittadina di Palestine, nell’East Texas, tra Houston e Dallas, un anno dopo che Roberson – che si manteneva consegnando giornali – aveva ottenuto la custodia della figlia Nikki, a novembre 2001. Pochi giorni prima del decesso, alla bimba era stata diagnosticata un’infezione respiratoria e aveva oltre 40° di febbre. Nelle prime ore della mattina del 31 gennaio 2002, Roberson scoprì che la figlia era caduta dal letto: dopo averla soccorsa, i due si riaddormentarono. Al risveglio, l’uomo vide che la piccola non respirava. Da lì la corsa in ospedale, dove le lastre evidenziarono un’emorragia tra le due meningi, edema cerebrale ed emorragie della retina. Elementi che allora vennero associati alla sindrome del bambino scosso, dunque all’accusa di violenze e abusi a carico di Roberson. Tuttavia, scrive il New York Times riportando le dichiarazioni del Center for Integrity in Forensic Sciences, “basarsi solo su questi elementi non è più considerata una prova di abuso”. Non tutti gli esperti sono però del parere che la “sindrome del bambino scossò” sia screditata. L’American Academy of Pediatrics la accetta ancora come diagnosi valida di “trauma cranico provocato da abusi” mentre, secondo i Centers for Disease Control, sarebbe la principale causa di morte in seguito ad abusi per i bambini sotto i cinque anni.