Tra le tante vittime della guerra di Israele a Gaza ci sono anche le persone disabili. Che, senza corridoi umanitari accessibili, sono bloccate in cerca di assistenza. “La situazione è drammatica e con il trascorrere dei mesi peggiora inesorabilmente”, racconta a ilfattoquotidiano.it Yousef Hamdouna direttore dell’Area Gaza di EducAid, ong di Rimini che nel 2018 ha fondato la struttura “Il Centro per la Vita indipendente di Gaza City, l’unica di questo tipo nella zona. “Il centro è stato completamente distrutto, abbiamo anche delle foto del centro devastato dalle esplosioni e reso inutilizzabile. I nostri colleghi e gli operatori che vi lavoravano sono stati sfollati ma non si tratta del loro primo sfollamento e alcuni sono quasi alla decima evacuazione in meno di un anno”.
Il Centro, fondato insieme alla Rete italiana disabilità e sviluppo (Rids) e grazie al progetto I-CAN finanziato dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, era il solo in tutto il Medio Oriente, esempio virtuoso e inclusivo di come interventi di cooperazione internazionale lungimiranti e condivisi potessero incidere concretamente sulla qualità di vita di soggetti in condizione di estrema fragilità. Prima dell’inizio del conflitto a essere monitorate erano circa un migliaio di persone, soprattutto adulti con disabilità motoria o sensoriale e anche moltissimi bambini, ora il numero dei richiedenti aiuto non autosufficienti si è moltiplicato per sei a causa della guerra. Il Centro, a prescindere dal sesso, età e religione, offriva gratuitamente assistenza, inclusione scolastica, sostegni psicologici, percorsi di autonomia. Adesso non c’è più, a Gaza City restano solo le macerie.
“Assistiamo quasi 6mila persone con disabilità, in maggioranza concentrati nella zona di Deir Al Balah, fuggite dalle vicine Gaza City e Khan Yunis. Li come EducAid e grazie anche ad un bando solidale della Regione Emilia-Romagna abbiamo circa 30 operatori con diverse specializzazioni (operatori sociali, terapisti occupazionali, addetti a distribuire beni di prima necessità, peer counselor con disabilità) e ci rendiamo conto che rappresentiamo una goccia nell’oceano del bisogno ma almeno siamo presenti quasi h24”, dice Hamdouna che vive in Italia da prima dello scoppio del conflitto con due figlie, di cui una con disabilità intellettiva. “Inoltre”, aggiunge il direttore, “sempre a Deir Al Balah disponiamo di un piccolo ufficio operativo con anche un magazzino non molto spazioso. Da quel posto coordiniamo ogni giorno tutta una serie di attività e garantiamo servizi di assistenza personale, consegna di beni di prima necessità e abbiamo creato anche una sorta di officina rudimentale dove cerchiamo di riparare, con i pochissimi materiali a disposizione, le carrozzine elettroniche delle persone con disabilità motoria”.
Ilfattoquotidiano.it aveva contattato Yousef, nato a Gaza City nel 1981, a novembre dello scorso anno. Oggi le testimonianze dirette che gli arrivano raccontano “una realtà molto peggiorata, la condizione è drammatica, ci sono centinaia di migliaia di sfollati in più, le persone con disabilità sono le più penalizzate, emarginate, discriminate, isolate. Ci rendiamo conto che come EducAid rappresentiamo per queste persone, e moltissimi sono minori, l’unica speranza e aiuto materiale per la sopravvivenza”. Dalle notizie che arrivano dall’area, le pochissime altre organizzazioni umanitarie presenti riescono a fornire, quando va bene, solo servizi standardizzati che non sono sufficienti per i bisogni specifici di donne e uomini in condizione di estrema fragilità. “La sensazione di abbandono è fortissima tra le famiglie coinvolte. I nostri operatori presenti sul posto – continua Yousef – sono tempestati ogni momento da richieste di intervento, assistenza per l’igiene personale, consegna pacchi alimentari e medicine, controlli medici di base, fisioterapia, monitoraggio degli strumenti medicali. Purtroppo non sempre possiamo garantire il soccorso richiesto a tutti”.
Mensilmente fanno il punto della situazione e ad ogni check che completano la situazione non smette di peggiorare, manca ogni cosa dall’acqua potabile al cibo, dagli ausili per le persone a ridotta mobilità alle medicine salvavita. Per i minori la situazione è ancora peggiore. “L’anno scolastico si è interrotto, oltre l’80% delle scuole sono distrutte e non si tengono lezioni da mesi. Noi ci stiamo attivando per aprire delle piccole classi da campo che chiamiamo spazi di apprendimento temporaneo, per cercare di dare una continuità didattica in questo inferno sulla terra”. Per i bambini, non solo con disabilità, è fondamentale offrire l’opportunità di continuare le lezioni e non perdere quelle abilità acquisite con estrema fatica. Ma tutto è estremamente complesso, incerto, precario. Non si intravede una luce alla fine del tunnel. “Guardiamo ogni giorno la disumanità e le condizioni di non vita che migliaia di persone con disabilità sono costrette a subire in assenza di corridoi umanitari dedicati per loro. La comunità internazionale tace e non fa nulla per queste persone non autosufficienti che hanno bisogno di ogni cosa”, conclude Hamdouna.