Giustizia & Impunità

Alessandro Impagnatiello: “Tentai di cancellare tutto, ogni traccia di Giulia ma non era come buttare una caramella”

“Tentai poi di cancellare tutto, come se far sparire una persona fosse come buttare una caramella. Cercavo di eliminare ogni traccia di Giulia, cercai di eliminare Giulia dando fuoco (…) Ora è tutto chiaro, tutto insensato quella che avevo intenzione di fare. Non era come buttare una caramella, non si può (…) polverizzare un corpo”. […]

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“Tentai poi di cancellare tutto, come se far sparire una persona fosse come buttare una caramella. Cercavo di eliminare ogni traccia di Giulia, cercai di eliminare Giulia dando fuoco (…) Ora è tutto chiaro, tutto insensato quella che avevo intenzione di fare. Non era come buttare una caramella, non si può (…) polverizzare un corpo”. Alessandro Impagnatiello, reo confesso dell’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano incinta al settimo mese di gravidanza, ha detto in uno dei colloqui con gli esperti nominati dalla Corte d’assise perché valutassero la sua capacità di intendere e di volere. Per i periti lo era. Il 31enne alla domanda sul perché ha ucciso ha risposto: “Perché ho visto tutto finito“.

In altri colloqui con gli psicologi del carcere milanese di San Vittore, atti della perizia psichiatrica depositata nel processo, l’ex barman poco dopo l’arresto aveva detto: “Penso che sabato scorso ero in Montenapoleone a bere un caffè e ora sono qui con un ergastolo”. In quel primo colloquio di quasi un anno e mezzo fa l’uomo non faceva alcun “accenno al figlio, nessuna emozione visibile“, sembrava “impassibile e lucido” e già si evidenziavano “tratti narcisistici”. È “frastornato” e “consapevole”, scriveva ancora la psicologa.

Nella perizia vengono riportate, passo passo, tutte le relazioni degli psicologi del carcere che, ad esempio, il 29 giugno del 2023 segnalano che il 31enne chiede “informazioni su cosa sia la giustizia riparativa” e racconta che “più passano i giorni più sente dentro un senso di vuoto e di mortificazione”. E fa spesso riferimento agli “insulti e minacce” che gli vengono rivolte in carcere, ma i familiari gli stanno vicino. Quando a settembre emergono le notizie sul fatto che per mesi avrebbe anche tentato di avvelenare Giulia, come accertato dalle indagini, lui, si legge, “nega”.

Il 16 gennaio scorso, riportano ancora gli psicologi, “pare pronto ad affrontare il processo”. Poi, dopo l’udienza si lamenta perché “c’era moltissima gente e molta stampa” e dice che con le sue dichiarazioni ha tentato di “chiedere scusa ai familiari” di Giulia, i familiari della vittima uscirono dall’aula. Più avanti dice ancora che partecipa alle udienze del processo “per rispetto della vittima”. E a maggio si preoccupa perché il 27 sarà l’anniversario della morte della 29enne e teme la “risonanza mediatica”, perché sarà anche giorno di udienza. Dopo l’interrogatorio in aula sente di “essersi liberato di un peso” e, scrivono gli psicologi, che “può pensare di ripartire con la sua vita”. Tanto che riferisce agli psicologi: “Oggi è il giorno uno”. Il 28 agosto scorso, si legge ancora, incontra “dopo un anno che non la vedeva” la madre in carcere. La donna, intervistata in lacrime, disse che il figlio era “un mostro” e che non lo perdonava.

“Vivevo mascherato, mi viene da dire, veramente mascherato” ha detto l’uomo che ha fatto ampio riferimento alla sua doppia relazione: quella intrattenuta con la compagna uccis e quella con la collega di lavoro italo-britannica conosciuta nell’estate del 2022. “Io vivo dal vanto al vanto – ha spiegato con parole sue il 31enne allo psichiatra forense Pietro Ciliberti e al medico legale Gabriele Rocca – Dal vanto che Giulia era la mia compagna, quella legatissima alla mia famiglia, quella con cui si facevano dei progetti futuri” e “si parlava di case, si parlava di vacanze, quella per cui io rientravo a casa e c’era la mia vita” fino al “vanto” dall’altra “parte” di “avere questo rapporto” con una ragazza a suo dire “cercata da tutti, la ragazza ambita da tutti” sul luogo di lavoro. Un rapporto solo “nella sfera lavorativa, nella sfera professionale” che “si chiudeva quando io mi allontanavo dal lavoro”, ha aggiunto. “Quando rientravo a casa” lei “scompariva”. Nel corso di altri colloqui in carcere a San Vittore, precedenti alla perizia, il 31enne ha anche espresso il “desiderio di studiare psicologia” perché “credo che l’aspetto psicologico mi abbia toccato”.