"Non poter vedere i volti dei miei figli, delle persone care, i paesaggi, il mare di Alghero. La cecità coincide con una grande perdita di libertà", ha raccontato in un'intervista al Corriere
“Scivolare nella cecità” non è solo una metafora, ma una realtà che Luigi Manconi ha affrontato e raccontato nel suo nuovo libro La scomparsa dei colori (Garzanti). Un viaggio intimo e doloroso, che l’autore ha condiviso senza mai cadere nel patetico, preferendo toni leggeri, pieni di speranza e voglia di vivere. Presentato a Bologna durante la rassegna “Le voci dei libri” con Silvia Avallone e Alessandro Bergonzoni, il libro è un’autobiografia che esplora la sua progressiva perdita della vista e il suo modo di convivere con la cecità.
Manconi, da sempre impegnato in politica e nel sociale, spiega che il desiderio di raccontare la sua esperienza è nato dalla consapevolezza che la cecità riguarda milioni di persone: “La mia è una vicenda personale, ma non unica. In Italia sono circa due milioni gli ipovedenti e cinque milioni le persone con qualche forma di disabilità. Ho cercato di narrare come la mia esperienza tragica possa comunque portare alla non disperazione”, ha raccontato il compagno di Bianca Berlinguer in un’intervista al Corriere della Sera. Il suo percorso verso la cecità è stato lungo e progressivo: “È stato un processo graduale, di tappa in tappa, che mi ha privato della vista fino alla cecità totale circa un anno fa. Ma ogni tappa mi ha permesso di scoprire in me risorse che non sapevo di avere”. Manconi non ha mai smesso di lottare, e il suo impegno politico non è venuto meno: “Cerco di far sì che questa condizione non limiti il mio impegno pubblico, anche se adesso richiede un’enorme fatica. Incontro ostacoli, ma li affronto con maggiore sensibilità e capacità di ascolto”.
Tra i rimpianti, Manconi parla della perdita della bellezza: “Non poter vedere i volti dei miei figli, delle persone care, i paesaggi, il mare di Alghero. La cecità coincide con una grande perdita di libertà. Ho dovuto affidarmi agli altri, ma ho scoperto che in questo c’è anche qualcosa di gratificante”. Le sue paure sono tante, soprattutto legate ai rischi quotidiani: “La paura di farmi male, di cadere, di urtare qualcosa o ferirmi la faccia. In 15 anni di perdita progressiva della vista, per miracolo non sono mai caduto”. Nel libro, Manconi racconta anche il rapporto con altri personaggi come Sergio Staino e gli scrittori Edith Bruck e Maurizio Maggiani, che hanno vissuto esperienze simili: “Con Staino condividiamo l’idea che, anche nella cecità, si possa continuare a produrre bellezza e significato”. Non mancano riferimenti alla letteratura: “Il libro si apre con una citazione di Borges: ‘Vivo tra forme luminose e vaghe che ancora non sono tenebra’. Mi sembra perfetta”. E per chi si chiede come riesca ancora a scrivere, Manconi spiega il suo metodo: “I testi prendono forma nella mia mente, specie nelle ore notturne. Poi, con l’aiuto delle mie coautrici, Chiara, Marica e Kim, sviluppo quei pensieri. È un processo lungo, ma nella lettura e rilettura ad alta voce troviamo il nostro segreto”.