Sono 251.899 gli elettori che sono andati a votare in Georgia martedì 15 ottobre, nel primo giorno di early voting, il voto anticipato. Battuto il record del 2020, quando nella stessa fascia temporale si erano recati alle urne in 133mila. “Affluenza spettacolare. Non abbiamo più aggettivi per descriverla”, scrive su X Gabriel Sterling, responsabile elettorale dell’ufficio del segretario di Stato della Georgia. Il dato mostra la partecipazione che queste elezioni stanno sollevando e arriva in uno degli Stati che più hanno catalizzato l’interesse delle campagne democratiche e repubblicane.

La Georgia è uno dei sette swing states, gli Stati contesi – gli altri sono il Michigan, il Wisconsin, la Pennsylvania, il Nevada, il North Carolina, l’Arizona – che decideranno chi salirà alla Casa Bianca (data del voto 5 novembre). Com’è noto, le presidenziali Usa sono governate dal sistema dei Collegi Elettorali. Ogni Stato dispone di un certo numero di voti, che sono assegnati sulla base del principio winner-takes-all: il candidato che prevale, anche per un solo voto, conquista tutti i Collegi Elettorali dello Stato. Mentre in gran parte dei 50 Stati americani la prevalenza di uno dei due partiti – democratico e repubblicano – appare ben definita, nei sette Stati sopra menzionati la distanza tra un partito e l’altro non è così netta. Per questo la battaglia elettorale si concentra quasi esclusivamente in queste aree. Conquistare un certo numero di swing states consente di raggiungere i 270 Collegi Elettorali necessari per diventare presidente.

I 16 Collegi della Georgia sono un premio ambito per democratici e repubblicani. Il Peach State, com’è chiamato questo Stato del Sud, ha un’antica tradizione di predominio conservatore e repubblicano, ma negli ultimi anni le cose sono cambiate. Atlanta, la capitale, è ormai il quartier generale di aziende più o meno grandi, da Coca-Cola a Home Depot a UPS a Delta a Newell Brands a NCR a una miriade di piccole e medie imprese dell’high-tech. Ciò ha favorito l’immigrazione dalle coste East e West di fasce di popolazione tendenzialmente liberal, che insieme all’emersione di una borghesia nera hanno profondamente cambiato il profilo politico, ideologico, culturale dello Stato. Nel 2020 Joe Biden è stato il primo candidato democratico alla presidenza a vincere in Georgia in quasi trent’anni.

La Georgia è anche lo Stato in cui ormai da anni si è sviluppato lo straordinario lavoro di registrazione al voto che ha visto nella democratica Stacey Abrams il suo simbolo e motore. Nel 2020, Abrams e i gruppi da lei coordinati riuscirono a registrare al voto 800mila nuovi elettori, in maggioranza afroamericani. A quell’esplosione di voto nero è in genere attribuita la vittoria di Biden. L’affluenza al di sopra delle attese nel primo giorno di early voting 2024 potrebbe dunque essere interpretata in senso favorevole ai democratici, come l’onda lunga del lavoro fatto nel passato da Abrams e dai suoi collaboratori. La cosa è possibile ma tutt’altro che certa. Negli ultimi mesi, l’appello ad andare a votare “il più presto possibile” è risuonato anche nel campo repubblicano. Potrebbero quindi esserci molti entusiasti di Donald Trump tra chi si è già recato alle urne.

A dispetto della vittoria dem nel 2020, il risultato in Georgia resta difficile da prevedere. Biden, nel 2020, vinse con un margine ristrettissimo: 11.779 voti. La media dei sondaggi compilata da Real Clear Politics dà ora Trump in vantaggio su Harris con lo 0,7 per cento, ampiamente dentro il margine di errore. Lo Stato è battuto in lungo e in largo dai candidati. Trump era ad Atlanta martedì. “I neri che votano per Harris sono malati in testa”, ha detto, ripetendo la tesi secondo cui i migranti illegali occupano i black jobs, i lavori dei neri. Bill Clinton, l’ex presidente amatissimo dalla comunità afroamericana, l’ultimo democratico prima di Biden a vincere la Georgia nel 1992, era domenica davanti a una chiesa di Albany, sudovest rurale dello Stato, per ammonire gli elettori a non votare per chi vuole “dividere e umiliare”. Ad Atlanta arriverà sabato per un comizio Kamala Harris. Molti sondaggi la danno in difficoltà con l’elettorato nero, soprattutto quello maschile e giovane. Lei negli ultimi giorni ha cercato di rispondere a dubbi e mancanza di entusiasmo. Ha detto che “gli uomini afroamericani troppo spesso sentono che la loro voce rimane inascoltata”. Ha presentato un “piano di opportunità economica”, che comprende incentivi per i neri che vogliono avviare un’impresa e legalizzazione della marjuana, nel passato una delle cause più frequenti di incarcerazione per migliaia di giovani neri. Il voto della Georgia dimostrerà se questo appello dell’ultima ora ha funzionato.

La Georgia è comunque importante in questo ciclo elettorale non solo per i suoi 16 Collegi Elettorali. La Georgia è importante perché qui si è svolto un capitolo essenziale nello scontro sulle “rigged elections”, le elezioni truccate. Nella contea di Fulton è aperto il caso – ma il processo non ci sarà prima del 5 novembre – contro Trump, che nelle ore successive al voto del novembre 2020 fece pressioni sul segretario di stato repubblicano della Georgia, Brad Raffensperger, per “trovargli gli 11.780 voti” necessari a battere Biden. L’ex presidente e i suoi uomini lanciarono anche accuse mai provate sulle macchine elettorali manomesse. In questi anni le polemiche sui presunti brogli elettorali non si sono mai spente. Due giorni fa proprio un giudice della contea di Fulton, Robert McBurney, ha deliberato che i membri delle commissioni elettorali non possono rifiutare di certificare il voto. McBurney ha anche respinto il tentativo dei repubblicani di procedere al conteggio manuale, e non digitale, dei voti. Rifiuto di certificare il risultato e conteggio manuale sono d’altra parte modi per ritardare la proclamazione del vincitore, moltiplicare le contestazioni, alimentare un’atmosfera di sospetto. Anche queste polemiche potrebbe dunque essere state di stimolo per la “spettacolare affluenza al voto” di queste ore.

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