Fame nel mondo e spreco, insicurezza alimentare e consumi insostenibili di un sistema che alimenta la malnutrizione, soprattutto nei bambini. Quella più grave e fatale è aumentata del 20% tra il 2020 e il 2022 nei 19 Paesi più colpiti da crisi umanitarie. Sono i volti contraddittori dell’alimentazione, così come viene oggi concepita: nel mondo 733 milioni di persone soffrono la fame, nonostante la produzione di cibo utilizzi il 40 per cento della superficie terrestre libera dai ghiacci, sia la principale causa di perdita di biodiversità e sia responsabile del 70% del consumo di acqua dolce e di oltre un quarto delle emissioni di gas serra. Una situazione acuita da conflitti armati, ricorrenti shock climatici e crisi economiche, con conseguente aumento delle disuguaglianze tra i Paesi e a livello locale. Ma accade anche perché il sistema alimentare porta già con sé una serie di squilibri. Nel mondo si sprecano 1260 miliardi di pasti in un anno, di cui 4,26 miliardi in Italia, come ha raccontato solo qualche settimana fa un report dell’Osservatorio Waste Watcher International. Ecco perché il tema di quest’anno della Giornata mondiale dell’Alimentazione, istituita dalla Fao, si focalizza sull’importanza di trasformare i sistemi alimentari globali in modo da renderli più inclusivi, resilienti e sostenibili. Uno strumento è certamente il Regolamento europeo “anti-deforestazione” (Leggi l’approfondimento) ma la Commissione europea ha appena proposto di posticiparne l’applicazione di dodici mesi, quindi al 30 dicembre 2025. Anche sotto pressione dell’Italia. Ma contribuire alla deforestazione significa rendere più poveri i terreni e le popolazioni di altre aree del pianeta, andando a peggiorare situazioni già critiche e allungando la lista di Paesi a rischio di insicurezza alimentare. Una lista già lunghissima.
Come le guerre e i cambiamenti climatici acuiscono l’insicurezza alimentare – “Il proliferare dei conflitti armati e il fatto che siano sempre più prolungati nel tempo – basti considerare quelli in Medioriente, Ucraina e Sudan – e gli eventi metereologici estremi sempre più intensi e frequenti, stanno avendo conseguenze devastanti sulla vita dei civili, rischiando di aumentare ulteriormente i livelli di insicurezza alimentare e di malnutrizione infantile” racconta Save the Children. Considerando i trend attuali, si stima che 128,5 milioni di bambini (19,5%) saranno affetti da malnutrizione cronica nel 2030, circa la metà dei quali in Africa occidentale e centrale. Il nuovo rapporto dell’Organizzazione evidenzia come le guerre siano le principali cause dell’insicurezza alimentare per circa 135 milioni di persone in 20 Paesi del mondo. Solo a Gaza, dove si registra il più alto tasso di malnutrizione a livello globale, è colpita quasi l’intera popolazione infantile. Oltre un milione di bambini. Anche la crisi climatica è tra le principali cause della malnutrizione. Si stima che gli eventi metereologici estremi, siano stati la causa primaria di alti livelli di insicurezza alimentare per 72 milioni di persone in 18 Paesi, tra cui 33 milioni bambini e ragazzi.
L’impatto dei sistemi alimentari – Allo stesso tempo, come ricorda in queste ore l’associazione ‘Terra!’, i sistemi alimentari sono tra i principali responsabili della crisi climatica in atto, contribuendo a un terzo delle emissioni totali, solo considerando l’anidride carbonica. “Spreco alimentare, perdita di biodiversità, consumo di suolo, deforestazione: sono tutti fenomeni che hanno un impatto rilevante sul cambiamento climatico in corso” spiega. Lo spreco contribuisce al climate change per l’8%, una percentuale che comprende non solo lo spreco domestico, ma anche le perdite alimentari, ovvero i prodotti lasciati sul campo. “Spesso molti prodotti agricoli non arrivano sul mercato – racconta l’associazione – perché questo è regolato da norme europee che privilegiano l’uniformità esteriore, tratto distintivo dell’attuale modello agroindustriale, a svantaggio di un modello agroecologico”. Così, nel corso degli anni, il 75% della biodiversità è andato perso. Oggi è Coldiretti a diffondere, elaborando dati Waste Watcher 2024, che nelle case degli italiani si gettano nella spazzatura quasi 1,8 miliardi di chili di cibo e che frutta e verdura sono le due categorie di cibo che più frequentemente finiscono nella pattumiera. Spesso provengono da lunghe distanze, con il risultato di essere immangiabili poco dopo essere state acquistate.
Se il cibo mangia le foreste. Il ruolo dell’Europa (e dell’Italia) – Eppure produrre cibo destinato alle tavole europee in luoghi così lontani ha un costo enorme sotto molti aspetti. “Troppo spesso il cibo che consumiamo, anche in Italia – racconta il Wwf – dal pollo al pesce, fino ai prodotti contenenti olio di palma, caffè e cioccolato, ha legami diretti con la distruzione di alcuni dei nostri ecosistemi più preziosi”. L’Amazzonia e altre foreste pluviali nel mondo, dimora di alcune delle specie più iconiche, vengono rase al suolo per bonificare il terreno, che viene poi utilizzato per allevare bestiame o per colture e piantagioni. “Quasi il 90% della deforestazione, soprattutto nelle zone tropicali e subtropicali ricche di biodiversità, è causata dai nostri consumi” aggiunge. L’Unione europea, infatti, è il secondo maggiore ‘importatore’ di deforestazione tropicale al mondo dopo la Cina. Tra i paesi dell’Ue, l’Italia è il secondo maggiore consumatore di materie prime a rischio di distruzione di natura, essendo responsabile della deforestazione di quasi 36mila ettari all’anno. Soia, olio di palma e carne bovina sono state le materie prime importate in Italia che hanno prodotto la maggiore deforestazione tropicale. Significa che in media “ogni italiano con i propri consumi alimentari è responsabile della deforestazione di 6 metri quadrati l’anno”.
Un altro anno di deforestazione – Per ridurre l’impatto dei consumi europei sulle foreste, l’Ue ha approvato nel 2023, l’Eudr, il Regolamento europeo “anti-deforestazione”. Prevede che, dal 30 dicembre 2024, soia, olio di palma, carne bovina, caffè, prodotti legnosi, cacao, gomma e tutti i loro derivati potranno essere introdotti sul mercato Ue, solo se le aziende importatrici potranno dimostrare che i prodotti non hanno causato deforestazione. Un trasparenza che si è resa necessaria. La soia, per esempio, è diventata un ingrediente chiave nella dieta degli animali d’allevamento, alimentando un’industria intensiva che ne consuma enormi quantità per produrre carne, latticini e uova. “Pochi sanno, mentre mangiano il petto di pollo o una braciola di maiale o del salmone d’allevamento, che quel cibo è arrivato nel nostro piatto grazie all’abbattimento di foreste e alla perdita di specie uniche” spiega il Wwf. Oggi, in nessun altro luogo al mondo, la perdita e il degrado di foreste e di altri ecosistemi prioritari causati dall’agricoltura industrializzata è più evidente che nel Sud America. Eppure, la Commissione europea ha proposto di posticipare di dodici mesi, quindi al 30 dicembre 2025, l’applicazione del regolamento. Ora gli Stati membri dovranno decidere se accettare questa proposta. “Se il Parlamento e il Consiglio dell’Ue approveranno la proposta, le imprese avranno un anno in più per prepararsi ma ci sarà anche un anno in più per distruggere le foreste del Pianeta per fare spazio a coltivazioni, piantagioni e allevamenti” spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia. “Rinviare di un ulteriore anno – aggiunge – significa che potremmo perdere (se il trend rimanesse uguale a quello degli ultimi anni) altri 3 milioni di ettari, ossia otto campi da calcio di foresta tropicale vergine ogni minuto”.