Giustizia & Impunità

Hacker arrestato, aveva le password di 46 pm tra Firenze, Perugia e Torino. Gli inquirenti: “Quadro probatorio rafforzato”

Ha proporzioni gigantesche l’azione di hacking del 24enne arrestato per essere entrato nei server di alcune procure. Era in possesso, tra Firenze, Perugia e Torino, di ben 46 password di altrettanti magistrati inquirenti, tra cui anche quelle dei procuratori di Perugia e di Firenze. La circostanza emerge dagli approfondimenti investigativi eseguiti dalla Procura di Napoli […]

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Ha proporzioni gigantesche l’azione di hacking del 24enne arrestato per essere entrato nei server di alcune procure. Era in possesso, tra Firenze, Perugia e Torino, di ben 46 password di altrettanti magistrati inquirenti, tra cui anche quelle dei procuratori di Perugia e di Firenze. La circostanza emerge dagli approfondimenti investigativi eseguiti dalla Procura di Napoli sulle informazioni acquisite e analizzate dagli inquirenti nell’ambito dell’indagine sulle incursioni dell’hacker siciliano 24enne Carmelo Miano arrestato tra l’altro con l’accusa di avere violato i server del Ministero della Giustizia.

Gli agenti della Polizia postale di Roma, al termine di un’indagine complicatissima, durata alcuni anni, avevano arrestato il giovane in flagranza di reato, in un monolocale alla Garbatella, tradito da un sito porno su cui si era soffermato poco prima. “È forse il miglior hacker italiano in cui ci siamo mai imbattuti” aveva detto al FattoQuotidiano un investigatore.

Alla luce degli approfondimenti investigativi si sarebbe rafforzato il quadro probatorio nei suoi confronti. La Procura di Napoli gli contesta di avete violato, tra le altre, la rete informatica del Ministero della Giustizia come è emerso durante l’udienza dinnanzi ai giudici del Riesame di Napoli. Nel corso dell’udienza l’avvocato Gioacchino Genchi, legale dell’ingegnere informatico, ha chiesto la scarcerazione del suo assistito e di trasferire gli atti alla Procura di Perugia. Una richiesta fondata su un dato in particolare e cioè che tra le informazioni prelevate da Miano dai server del Ministero violati vi sono anche gli account mail dei magistrati romani che stavano indagando sul suo conto. La Procura, dal canto suo, si è detta contraria sia alla scarcerazione dell’indagato e anche al trasferimento del fascicolo a Perugia, indicata dall’avvocato Genchi.

Una notizia, quella della password hackerata, che ha “incuriosito e inquietato” il procuratore della Repubblica del capoluogo umbro, Raffaele Cantone, che sta tra l’altro coordinando l’indagine sugli accessi abusivi alle banche dati in uso alla Direzione nazionale antimafia da parte di Pasquale Striano e nella quale è indagato, oltre all’ufficiale della Gdf, anche l’ex magistrato Antonio Laudati.

La Procura di Napoli, nel corso dell’udienza durata poco meno di un paio d’ore davanti ai giudici del Riesame, ha depositato una memoria con la quale esprime parere contrario all’attenuazione della misura cautelare del carcere con quella dei domiciliari e al trasferimento degli atti d’indagine presso la Procura di Perugia, per competenza.
Entrambe le istanze – che vedono assolutamente contrari i sostituti procuratori Claudio Orario Onorati e Mariasofia Cozza, sempre più convinti della pericolosità dell’hacker – sono state illustrate dall’avvocato Gioacchino Genchi, legale del giovanissimo ingegnere informatico, in una memoria di 33 pagine.

Rispondendo alle domande dei giornalisti al termine dell’udienza, l’avvocato Genchi pur riconoscendo le abilità del suo assistito, ha puntato il dito contro le debolezze dei sistemi di sicurezza a guardia dei dati del ministero: una situazione “inquietante”, sostiene, adombrando anche l’eventualità che le porte del sistema informatico lasciate aperte da Miano possano ora favorire altre incursioni “molto più gravi e preoccupanti di quelle che ha commesso il mio assistito”.

Miano aveva a disposizione, ha detto Genchi all’Ansa, tutte le caselle mail usate per trasmettere le notizie di reato, gli ordini di fermo, le misure cautelari e i decreti di intercettazione di tutte le procure e le Dda d’Italia“. Per Genchi, in sostanza, “se Miano fosse stato un criminale avrebbe potuto mandare veramente in tilt il sistema Giustizia italiano. Ma non l’ha fatto: gli unici dati che ha visto sono quelli che lo riguardano, ossessionato e preoccupato com’era delle indagini sul suo conto”.
Una ricostruzione dei fatti su cui però non è d’accordo la Procura partenopea per la quale l’obiettivo di Miano era acquisire dati sensibili da vendere, ritenendo possibile l’eventualità che l’hacker 24enne abbia potuto rispondere alle sollecitazioni di qualche committente. Manifestando il parere contrario alla scarcerazione dell’indagato e al trasferimento degli atti in una qualsiasi altro ufficio inquirente, la Procura di Napoli ha anche annunciato che è in corso la separazione degli atti per la loro trasmissione agli uffici competenti in relazione alle violazioni delle mail dei magistrati.

Miano, residente a Gela ma domiciliato nella Capitale, di professione programmatore, era diventato il terrore del ministero della Giustizia. Un genio del computer, capace di violare i sistemi di sicurezza dei server, di fingersi amministratore di sistema, di procurarsi le credenziali di gestione, entrare nelle banche dati e anche nella web mail delle procure e dello stesso ministero, così da leggere atti di indagine coperti da segreto. E poi di cancellare ogni traccia del suo passaggio.