di Michele Tamburrelli*
Immaginiamo un ufficio o un luogo di lavoro in genere in cui i dipendenti trascorrono gran parte del tempo interagendo con algoritmi invece che con persone. Non è uno scenario da fantascienza, ma una prospettiva sempre più concreta. L’introduzione massiccia dell’IA sta trasformando il mondo del lavoro in maniera profonda, generando preoccupazioni non solo legate all’occupazione ma, in particolare, al benessere psicosociale dei lavoratori.
Oggi il dibattito pubblico sull’intelligenza artificiale è spesso incentrato sul tema della sostituzione del lavoro umano, e quindi sulla perdita di posti di lavoro. La nostra storia, tuttavia, ci insegna che ogni grande innovazione tecnologica ha portato con sé trasformazioni significative nel modo di lavorare, e non sempre in senso negativo.
Pensiamo a momenti storici di cambiamento radicale, come l’invenzione della scrittura, della macchina a vapore o, più di recente, della calcolatrice. Quando questi strumenti furono introdotti, molti temevano che avrebbero reso le persone meno intelligenti o avrebbero causato la perdita di lavoro in vari settori. L’invenzione della scrittura, ad esempio, suscitò timori sul futuro dell’apprendimento e della memoria, preoccupazioni già espresse da Platone nei suoi dialoghi. Lo stesso vale per la calcolatrice, che molti temevano avrebbe ridotto le capacità di calcolo delle persone, ma che alla fine si è rivelata uno strumento utile, pur non sostituendo la necessità di una comprensione matematica di base.
Questi esempi storici ci insegnano che la tecnologia, se ben gestita, può arricchire le nostre capacità e offrire nuove opportunità. Tuttavia, con l’intelligenza artificiale, emerge una nuova sfida: oltre ai rischi per l’occupazione, ci sono rischi legati alla sfera psicologica e sociale che non possiamo ignorare.
Se immaginiamo un futuro in cui l’IA diventerà un interlocutore sempre più frequente, c’è il rischio che le interazioni umane, fondamentali per la crescita e l’apprendimento, vengano ulteriormente ridotte. I lavoratori potrebbero abituarsi a confrontarsi principalmente con macchine, perdendo così le occasioni di scambio, di discussione e persino di confronto emotivo con i colleghi. Questo tipo di interazioni, anche quando includono errori o incomprensioni, rappresentano momenti cruciali di apprendimento e sviluppo delle competenze. La sensazione di padroneggiare le informazioni fornite dall’IA potrebbe dare l’illusione di una maggiore efficienza, ma rischia di ridurre la capacità di apprendere in modo profondo e critico. Inoltre, si potrebbero erodere importanti capacità empatiche, che nascono dal confronto con gli altri e dall’elaborazione emotiva che ne deriva.
Un altro rischio legato all’introduzione massiccia dell’IA è il cosiddetto “tecnostress”. L’uso intensivo di tecnologie avanzate e il monitoraggio continuo dei processi di lavoro, reso possibile proprio dall’IA, possono aumentare la pressione sui lavoratori. Inoltre, la continua delega di compiti e decisioni all’intelligenza artificiale potrebbe indurre un senso di inadeguatezza nei lavoratori, che potrebbero sentirsi sempre più dipendenti dalle macchine per risolvere i problemi.
Un aspetto cruciale dell’uso dell’IA è il suo impatto sull’apprendimento e la gestione della conoscenza. Internet ci ha già predisposto a un apprendimento di tipo “orizzontale”, in cui è facile accedere a grandi quantità di informazioni in modo rapido, ma spesso senza il tempo o la motivazione per approfondire davvero i contenuti. Con l’introduzione dell’IA, il rischio è che questo tipo di apprendimento diventi la norma: la cultura e la conoscenza potrebbero essere ridotte a un insieme di dati facilmente accessibili, ma privi di contesto e di comprensione critica. Questo non significa possedere competenza.
Il vero pericolo, quindi, non è solo che l’IA possa sostituire i lavoratori, ma che possa spingere verso un appiattimento della conoscenza, dove la facilità di accesso alle informazioni sostituisce la profondità e la qualità del sapere. Di fronte a questa trasformazione, sarà fondamentale per le aziende riconsiderare le strategie di formazione e sviluppo delle competenze, evitando che l’IA diventi una scappatoia facile per risolvere i problemi, ma promuovendo un apprendimento più consapevole e critico.
Per mitigare i rischi descritti, è essenziale che le aziende prestino una crescente attenzione alla salute mentale e al benessere psicologico dei lavoratori. Oggi, molte organizzazioni si interrogano su come aumentare l’engagement e il senso di scopo dei dipendenti, e questo è il momento ideale per riconsiderare anche l’impatto dell’IA sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. La valutazione dei rischi psicosociali deve diventare una priorità assoluta, poiché solo così sarà possibile sfruttare i vantaggi dell’IA senza mettere a repentaglio il benessere dei lavoratori.
L’introduzione dell’intelligenza artificiale rappresenta una delle sfide più complesse e radicali del nostro tempo. Come ogni rivoluzione tecnologica, comporta sia opportunità che rischi. Da un lato, l’IA può diventare un potente strumento per migliorare l’efficienza e promuovere l’innovazione, ma dall’altro, senza un’attenta gestione, potrebbe trasformarsi in una minaccia per il benessere psicologico e sociale dei lavoratori. Le aziende hanno la responsabilità di bilanciare queste due facce della medaglia, promuovendo un uso consapevole dell’IA e ponendo al centro del dibattito la salute mentale dei dipendenti.
* Laureato in diritto del lavoro e relazioni industriale presso la facoltà di Scienze Politiche di Milano, si è occupato della materia fin dai primi esordi nel sindacato, insegnando nei corsi ai rappresentanti sindacali, trattando i problemi vertenziali, sicurezza e di tutela dei lavoratori, operando nel settore terziario, turismo e servizi. Appassionato anche della materia della formazione ha diretto per diversi anni un ente riconosciuto.