Nuove stranezze, che aumentano le incertezze e seminano altri dubbi. Mentre prosegue la logorante attesa di Jannik Sinner in seguito al ricorso presentato dalla WADA (Agenzia mondiale antidoping) alla Corte Arbitrale dello Sport di Losanna, lunedì sono arrivate le motivazioni della sentenza che ha riguardato un altro caso di doping nel tennis, quello di Simona Halep. Il Tas di Losanna ha squalificato per 9 mesi la tennista rumena, vincitrice del Roland Garros 2018 e di Wimbledon 2019, con l’accusa di “incauto utilizzo di un integratore contaminato“. Halep era stata precedentemente squalificata per 4 anni dall’Itia per doping intenzionale, a seguito dell’utilizzo dell’antianemico proibito Roxadustat. Successivamente scagionata, la Wada ha poi presentato ricorso al Tas che l’ha sanzionata per uso imprudente. Ma quest’ultimo non è l’unico aspetto della sentenza Halep che può spaventare Sinner pensando alla sua situazione. I due casi, infatti, sono molto diversi in molteplici aspetti. Ma c’è un passaggio delle motivazioni della sentenza che è inquietante e che potrebbe diventare un’arma contro l’attuale numero 1 al mondo del tennis maschile.
La contestazione del TAS
L’unico vero punto di contatto tra il caso di Simona Halep e quello di Jannik Sinner avrebbe infatti a che fare con il loro status di tennisti. In quanto numeri 1 al mondo (la tennista rumena lo è stata per quasi un anno, l’altoatesino lo è attualmente e lo sarà almeno fino alla fine del 2024), entrambi dovrebbero essere circondati da un ambiente e da uno staff di professionisti di altissimo livello, anche per quanto riguarda il doping. Questo almeno è quanto scrive il Tas nei confronti di Simona Halep: “L’atleta che stiamo giudicando oggi non è una semplice giocatrice di tennis professionista: ha grandissima esperienza, è ai vertici del ranking mondiale da tempo e ha vinto due slam“. Se si sostituisce “giocatrice” con “giocatore“, la stessa frase potrebbe tranquillamente essere rivolta a Sinner. Secondo il ragionamento del Tas, essere ai vertici del tennis mondiale è un’aggravante. A in un certo senso obbliga l’atleta a prendere precauzioni maggiori. I casi di Halep e di Sinner sono molto diversi (vedi sotto), ma un dubbio resta: a Losanna potrebbe considerare questo fattore decisivo anche nel giudicare il caso Sinner?
Questione di fiducia: le differenze tra Halep e Sinner
Halep è stata condannata per “l’incauto utilizzo di un integratore contaminato”: la tennista rumena ha assunto volontariamente un integratore (che le ha provocato la positività all’antidoping) affidandosi “completamente alla sua fisioterapista personale, che non è un medico o un clinico”. Nelle motivazioni della sentenza si legge: “L’atleta (Halep) avrebbe dovuto capire i limiti delle qualifiche della sua fisioterapista e il fatto che si stesse giocando un torneo negli Stati Uniti, in un continente lontano dal suo, non può giustificare la mancata consultazione di uno specialista e l’affidamento di un compito così delicato a una persona senza le necessarie competenze mediche”. Insomma, circostanze che tanto ricordano “il guru della salute dei vip” al quale Paul Pogba si era affidato in passato per risolvere i propri problemi fisici: in quel caso, una positività al testosterone riscontrata a causa di “pillole del benessere” fornite dall’azienda americana 10X Health Systems del co-fondatore Gary Brecka.
Sia per Halep che per Pogba il Tas ha stabilito che non si è trattato di doping intenzionale, ma di una negligenza. Errori involontari che, nel caso di Sinner, sarebbero stati commessi da Giacomo Naldi (fisioterapista) e Umberto Ferrara (preparatore atletico). L’altoatesino infatti non ha mai assunto alcun tipo di sostanza: il suo sangue è stato alterato a causa di una contaminazione involontaria. Ad assumere la sostanza (il cicatrizzante contente Clostebol) è stato infatti il suo ex fisioterapista Naldi, che all’epoca ricevette il medicinale per curare una ferita al dito dall’ex preparatore atletico di Sinner, Umberto Ferrara. Dopo aver massaggiato l’azzurro per più volte senza guanti, è arrivata la contaminazione che poi ha portato l’azzurro a risultare positivo a due test anti-doping, uno durante il torneo di Indian Wells e un altro prima del Miami Open. Quale negligenza può quindi essere contestata direttamente a Sinner? Rischierebbe la squalifica solo se venisse considerato responsabile per il comportamento tenuto dai membri del suo staff. Però, a differenza del caso Halep, non si può imputare a Sinner nemmeno il fatto di aver scelto due assistenti poco qualificati: l’ex fisioterapista Naldi ha una laurea in osteopatia, l’ex preparatore Ferrara in chimica e tecnologie farmaceutiche.
Sinner e il ricorso della WADA: i possibili scenari
Nel frattempo, mentre Halep è stata squalificata per 9 mesi, Jannik Sinner dovrà aspettare il verdetto finale. Come si evince dal comunicato ufficiale, infatti, “la WADA non chiede la squalifica di alcun risultato, salvo quelli già imposto dal tribunale di primo grado”. Al tempo stesso, però, può chiedere una squalifica nei confronti dell’italiano che lo potrebbe tenere lontano dal circuito per 1 o 2 anni. Inizialmente, Sinner aveva perso solo i punti e il montepremi guadagnati a Indian Wells lo scorso marzo. Allo stato attuale e senza una risposta, il tennista altoatesino potrà scendere in campo senza alcuna restrizione. Il CAS (la corte arbitrale dello Sport) dovrà decidere se andare contro la sentenza di primo grado oppure confermarla. Una cosa è certa: i tempi per avere delle risposte non saranno immediati, ci vorranno almeno 6 mesi. La WADA ha deciso di impugnare la sentenza, puntando non a dimostrare l’uso intenzionale della sostanza, ma a stabilire una colpa parziale. Ovvero a ritenere Sinner – come detto in precedenza – colpevole per il comportamento del suo staff.