La professione infermieristica attira sempre meno. Ecco perché al corso di laurea in infermeristica, organizzato dall’università di Vicenza, non si è riusciti a coprire i 120 posti messi a disposizione. Solo ottanta gli studenti che hanno deciso di iscriversi al primo anno del corso dei 98 iscritti al test di ammissione con preferenza la sede Berica. Un test di ammissione che indipendentemente dal buon esito o meno ha fatto accedere tutti i candidati, anche quelli che in graduatoria hanno registrato un punteggio di 1 su 100 complessivi.

Al Corriere della Sera lo spiega Federico Pegoraro, presidente uscente dell’ordine delle Professioni infermieristiche di Vicenza: “Il test è composto da domande diversificate, con contenuti di matematica, logica, chimica e biologia, oltre che cultura generale”. A proposito dell’ammissione anche di chi ha fatto un punteggio quasi pari a zero, ha dichiarato: “Nulla contro gli studenti in questione, ovviamente, però è chiaro che c’è un problema di fondo, soprattutto se poi andiamo a leggere i dati: storicamente, almeno il 30% degli iscritti non è in grado di giungere al termine del ciclo di studi”.

Non è la prima volta che l’Università di Vicenza non riesce a coprire tutti i posti a disposizione. Lo scorso anno erano stati solo 79 gli iscritti, confermando un trend. Il trend, che inverte la rotta degli anni precedenti in cui invece rimaneva sempre qualcuno fuori, sembra riflettere la carenza nelle aziende sanitarie venete. Il professore Pegoraro evidenzia che “su 138 assunzioni deliberate dall’Usl 8 Berica nello scorso settembre, a seguito di un bando di Azienda zero, si sono presentati solo in 60. Stiamo parlando di assunzioni a tempo indeterminato, quindi vuole dire che manca proprio l’attrattività. Per contro, assistiamo ad un sempre crescente fenomeno di dimissioni dal settore pubblico, in favore di quello privato, oppure di pensionamenti”. Tra le ragioni, conclude Pegoraro al Corriere, ci sono anche le condizioni di lavoro e la scarsa possibilità di conciliare l’impegno con la vita privata: “Non aiuta di certo l’entità dello stipendio”, ha detto. “Oggi i giovani cercano il miglior equilibrio tra lavoro e vita privata, a favore del proprio benessere. La nostra è comunque una professione usurante, anche mentalmente, per definizione, perché ci mette in contatto con il dolore e la morte con un forte elemento relazionale nella cura dell’assistito”.

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