Le minacce americane sono servite a qualcosa. Tre giorni dopo l’invio della lettera da parte dell’amministrazione Usa nella quale si chiedeva lo sblocco degli aiuti umanitari a Gaza se non si voleva correre il rischio dello stop all’invio di armi da parte di Washington, nel Nord della Striscia sono giunti i primi aiuti da due settimane.

Secondo quanto riportato da Cogat, l’organismo israeliano che supervisiona i territori palestinesi e si coordina con i gruppi umanitari, 145 camion hanno superato i valichi di Kerem Shalom ed Erez con l’enclave palestinese portando alle popolazioni colpite dalla furia dell’esercito dello Stato ebraico cibo, prodotti per l’igiene, latte in polvere per neonati e attrezzature per rifugi.

Nella Striscia non sono arrivati solo beni di prima necessità diretti alla popolazione civile. L’inverno si sta avvicinando, le temperature calano e le poche strutture di accoglienza ancora in piedi, così come gli ospedali, hanno bisogno di elettricità per poter funzionare. Così nove autocisterne di carburante e sei di gas da cucina destinate al funzionamento delle infrastrutture essenziali sono state trasferite a Gaza insieme a tutti gli altri aiuti umanitari. “Un convoglio di 28 camion – ha scritto il Cogat su X – è entrato a Gaza attraverso il Gate 96. Il coordinamento della rotazione del personale umanitario è stato completato con successo. Dodici panetterie sono operative a Gaza, quattro nella parte settentrionale e otto nella parte meridionale”.

L’ultimatum statunitense non è comunque piaciuto al governo israeliano, tanto che il ministro per gli Affari della diaspora Amichai Chikli ha accusato alla radio pubblica “questa politica dell’amministrazione Biden di esercitare una pressione massiccia sulla questione umanitaria che è sbagliata e alla fine ci costringerà a prolungare i combattimenti. Gli aiuti umanitari, in molti casi, finiscono nelle mani sbagliate. Inoltre, la pratica che consente ai civili di spostarsi in aree sicure è conforme al diritto internazionale. Purtroppo sembra ci siano in gioco anche considerazioni interne americane”.

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