Cambiare le regole d’ingaggio. È il mantra che circola da quando Israele ha cominciato a colpire le basi Unifil nel sud del Libano. L’ha ripetuto questa mattina Guido Crosetto nell’informativa al Senato: “Servono nuove regole d’ingaggio” perché “Unifil è una missione assai complessa, con un mandato di difficile implementazione, regole d’ingaggio inadeguate e forze non equipaggiate per l’attuale situazione del conflitto”. Ma cosa significa cambiare le regole? Secondo il ministro si potrebbe prevedere “la presenza di una riserva schierabile rapidamente nel Sud del Libano, garantendo così la piena libertà di manovra delle unità e adeguando equipaggiamento e dotazioni all’ambiente in cui operano”. Il che metterebbe “Unifil nelle condizioni di esercitare una reale deterrenza all’uso della forza”.

L’ipotesi, stando ai termini usati da Crosetto, è che si voglia inserire nella cornice della missione una “forza di riserva” con il compito di contrastare Hezbollah nel Sud del paese. Il punto 11 della risoluzione 1071 che nel 2006 rafforzò il mandato della missione creata nel 1978 prevede, infatti, che il compito di Unifil sia quello di “affiancare e sostenere le forze libanesi nel loro dispiegamento nel sud” e “assistere le forze armate libanesi in operazioni mirate alla definizione dell’area prevista nel paragrafo 8″, ovvero “l’istituzione, nella zona compresa tra la Linea Blu e il fiume Litani, di un’area priva di personale armato, di posizioni e armi che non siano quelle dell’esercito libanese e delle forze Unifil”. Tutto ciò non è accaduto, tanto che molti razzi di Hezbollah verso l’Alta Galilea partono da questa “zona cuscinetto”.

Si potrebbe quindi decidere di dotare il contingente di un corpo dotato di armamenti più pesanti e capacità di intervento militare. Il mandato in questo senso appare già ampio: “Oltre all’uso della forza per autodifesa (…), l’Unifil può, in determinate circostanze e condizioni, ricorrere all’uso proporzionato e graduale della forza” in diversi casi tra cui quelli di “garantire che la sua area di operazioni non venga utilizzata per attività ostili di alcun tipo”, “resistere ai tentativi con mezzi forti di impedirle di svolgere i propri compiti in base al mandato del Consiglio di sicurezza” e “proteggere il personale, le strutture, le installazioni e le attrezzature delle Nazioni Unite”. Un caso, quest’ultimo, che si attaglierebbe anche agli eventi dei giorni scorsi, quando i carri armati delle Israel Defense Forces hanno sparato contro diverse basi della forza di pace.

Un rafforzamento della missione in questo senso comporterebbe un cambiamento della sua natura. Secondo le risoluzioni 425 e 426 del Consiglio di sicurezza Onu del 19 marzo 1978 che la istituirono, Unifil venne creata per “ripristinare la pace e la sicurezza internazionale”. È un’operazione di peacekeeping, quindi. Israele sostiene che è “inutile” perché non ha evitato che Hezbollah restasse nella zona cuscinetto. È vero. Ma se venissero dotati di armi più pesanti e della possibilità di contrastare attivamente le milizie sciite sul terreno, i caschi blu dovrebbero tentare di disarmarle? In questo modo entrerebbero nel conflitto, schierandosi automaticamente al fianco di Israele e abdicando nei fatti al proprio ruolo di forza di pace. Difficile, inoltre, che Hezbollah possa smettere di attaccare Israele in virtù della deterrenza esercitata da una Unifil meglio armata. Senza contare che la maggioranza degli attacchi alla missione sono arrivati dalle Israel Defense Forces e non dalle milizie sciite.

Ancora, volendo spingere il ragionamento al parossismo: il fatto di possedere migliori armamenti e un mandato più ampio in termini di risposta agli attacchi potrebbe fungere da deterrente anche contro i colpi di cannone delle Idf? Anche questa ipotesi comporterebbe per la missione l’assunzione di un ruolo nella guerra. Ed è stato lo stesso Crosetto a sottolinearlo questa mattina: “L’imparzialità dei caschi blu è uno dei pilastri Unifil. O c’è Unifil o c’è la guerra”. Una risposta chiara su questo punto è poi arrivata dall’Unifil stesso: “Usare la forza, a meno che non sia proprio una situazione di self-defence, potrebbe creare più problemi che soluzioni, quindi innalzare le tensioni e far diventare la missione parte del conflitto“, ha spiegato il portavoce della missione Andrea Tenenti .

Altro tema toccato da Crosetto: l’esercito regolare di Beirut. Oggi in Senato il ministro ha detto: “Le forze armate libanesi sono cadute, distrutte dall’inflazione, dal problema economico” mentre “c’è un’altra forza militare nel paese (Hezbollah, ndr) con capacità economica di reclutamento molto più alta. Questa cosa la possono risolvere soltanto due soggetti: Unifil e la comunità internazionale da una parte, la crescita delle forze libanesi dall’altra”. Anche qui si aprono vari interrogativi. Il primo: quali sono le tempistiche ipotizzate per l’intervento? Per rafforzare l’esercito servono mesi nella migliore delle ipotesi, anni nella realtà, e la missione bilaterale (Mibil) incaricata dello scopo è fuori gioco: il grosso dei circa 200 italiani impegnati è rientrato da Beirut per mancanza di sicurezza. Ma Israele è entrata in Libano, vuole cacciare l’Unifil per avere mano libera contro Hezbollah e la vuole adesso, non tra qualche mese o qualche anno.

Secondo interrogativo: una volta rafforzato, cosa dovrebbe fare l’esercito libanese? Dovrebbe fare la guerra a Hezbollah cercando di ricacciarlo a nord del Litani come chiede Israele? Difficile anche solo ipotizzarlo: se provassero a disarmare Hezbollah le Lebanese Armed Forces verrebbero annientate. La sproporzione tra le due forze in termini di uomini e armamenti è evidente, soprattutto nelle regioni del sud dove insiste la missione. Non solo: nessun esercito libanese riceverà mai l’ordine di farlo: il Partito di Dio è anche la prima forza politica del Paese, guida la maggioranza, ha due ministri nel governo ed è in grado di orientarne, quando non di controllarne, le decisioni. Senza contare il fatto che il Paese piomberebbe in una guerra civile che durerebbe anni.

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