Giustizia & Impunità

Condannato all’ergastolo Giampaolo Amato: “L’ex medico della Virtus Bologna ha ucciso la moglie e la suocera”

Giampaolo Amato, ex medico della Virtus Bologna, professionista molto conosciuto in città, è colpevole di aver ucciso la moglie, Isabella Linsalata, ginecologa di 62 anni, e la suocera, Giulia Tateo, 85 anni. Così ha deciso la Corte d’Assise di Bologna condannando il 65enne all’ergastolo per i due omicidi, al termine di un processo durato sette mesi, con decine e decine di testimoni. “Una storia orribile, di gente perbene”, come l’ha definita la procuratrice aggiunta Morena Plazzi, all’inizio della sua requisitoria.

Amato, che prima dell’indagine e dell’arresto, aveva una famiglia stile ‘Mulino bianco’, come ha detto anche la figlia (la sua testimonianza e quella del fratello sono state tra i momenti più delicati del processo), e allo stesso tempo faceva promesse mai mantenute alla donna con cui da anni aveva una relazione extraconiugale, non ha convinto i giudici popolari della sua innocenza. Sempre presente in aula, molto sicuro di sé, le sue parole però, non solo durante l’interrogatorio, ma anche nel corso delle numerose dichiarazioni spontanee rilasciate in aula, non hanno fatto breccia.

Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, ha ribadito: “Sono innocente, non ho mai commesso reati, da 40 anni sono rispettoso del giuramento di Ippocrate. Sono stato descritto come un mostro, come un mentitore seriale, come un violento, come uno che ha sovrastima di se stesso. Cioè esattamente il contrario di come sono e di quello che ho dimostrato in tutta la mia vita”. Amato, per i giudici di primo grado, ha però avvelenato tra il 30 e il 31 ottobre 2021 la moglie e poi la suocera, trovata morta 22 giorni prima della figlia. Delitti identici, “quasi perfetti”, come ha sostenuto una delle parti civili, commessi con un mix di Sevoflurano, un anestetico e Midazolam, ovvero benzodiazepine. Farmaci trovati entrambi nei corpi delle vittime.

Fondamentale in questa storia, è stato il ruolo della sorella di Isabella Linsalata, Anna Maria, che per tre anni ha conservato una bottiglia, dove c’erano ancora tracce delle stesse benzodiazepine trovate poi nel corpo della vittima. E anche le due amiche più strette della 62enne, che ne hanno raccolto le confidenze, quando lei aveva il sospetto che il marito le stesse somministrando sostanze tossiche, anche se non immaginava che avrebbe potuto effettivamente ucciderla in quel modo.

Le morti di suocera e moglie erano condizione indispensabile, ha sostenuto l’accusa, per continuare la relazione extraconiugale che Amato portava avanti da anni ed entrare in possesso delle proprietà della moglie. “Fa finta di essere una persona disinteressata e superiore”, ha accusato Plazzi tracciando, al contrario, il profilo di un egoista che voleva tutto: l’amore della vita con l’amante e la sicurezza economica con i beni della famiglia della moglie.