Cinema

I morti non soffrono/The dead don’t hurt, l’anti western al femminile di Viggo Mortensen che ricorda Million dollar baby

Viggo Mortensen e il suo western (al femminile) per caso. Se c’è un dato encomiabile, anti spettacolare, moralmente onesto, in I morti non soffrono/The dead don’t hurt – presentato in queste ore alla Festa di Roma 2024, dopo un’anteprima mondiale a Toronto addirittura del settembre 2023 – è quello di smontare con delicatezza tanti piccoli vetusti incartapecoriti codicilli di genere. Quasi che il mito della frontiera americana possa essere, senza incidere troppo, un asettico contenitore di storie. In I morti non soffrono si segue la gagliarda ma dolorosa emancipazione di una donna, la franco-canadese Vivienne (Vicky Krieps), nell’estremo ovest costiero statunitense nel 1860, e del suo fortuito incontro con un altro immigrato, il danese Olsen (Mortensen).

Lei, figlia di un trapper di frontiera ucciso nell’ignoto spazio da esplorare, cresce sognando un cavaliere con armatura a salvarla, intanto rifiuta sdegnata le avances di un ricco snob irlandese, si accompagna ad Olsen e finisce a vivere con lui in una casetta di legno nascosta tra rocce e fiori (dettaglio colorato, vitale, anticonvenzionale, appunto, che accompagna con grazia il racconto durissimo) vicina al solito crocicchio impolverato del west, tal Elk Flats, dove Vivienne lavorerà come barista nel saloon. A Elk Flats l’azzimato corrotto sindaco (Danny Huston), per dividersi introiti di alcool, gioco e prostituzione con il losco proprietario terriero Jeffries, acconsente ad una specie di carneficina compiuta da Weston (Solly McLeod), il violento e alcolizzato figlio di Jeffreis, lasciando che la colpa ricada sull’altro suo figlio disabile.

Weston peraltro si era macchiato anche dello stupro di Vivienne, mentre Olsen era partito soldato per diversi anni nella guerra di secessione. Violenza che porterà all’arrivo di un figlio non voluto e alla relativa vendetta di Olsen. Arrotolato attorno alla mancanza di linearità del tempo del racconto, al continuo incastro di flashforward e flashback (la prima sequenza, del resto, è la morte di Vivienne), I morti non soffrono si ricompatta invece con forza e pietà in molti lunghi take e in stratificate scene a due, dove Mortensen regista mostra un pacato ma risoluto stile eastwoodiano, mentre il Mortensen attore fa molti passi di lato, cancellando con quintali di vestiti addosso e un barbone (finto) tutto il possibile narcisismo della star.

Così la Krieps diventa assoluta protagonista di un’epopea femminile che subisce il cinismo di un mondo brutale in divenire e la relativa odiosa prevaricazione maschile senza mai concedere né all’uno né all’altra la resa a livello di dignità e di indipendenza nel quotidiano. Nel viso corrucciato teso pulito della Krieps, in quel corpo avvenente ma coperto e robusto, si cela tutta la vibrante sensibilità della purezza morale dei due protagonisti “non americani” e del loro rifiuto verso le convenzioni sociali e politiche di quel contesto storico. Che poi, appunto, anche Mortensen a livello registico cerchi l’anticonvenzionalità rispetto ai cliché di genere, sconta sì qualche espediente banale (l’eccessivo rimescolamento temporale), ma ne guadagna in genuina originalità dell’intera operazione. Mortensen compone anche la malinconica colonna sonora. E qui l’ulteriore accostamento a Eastwood ci sta di nuovo. Tanto che in chiusura potremmo pure affermare, senza timore di smentita, che I morti non soffrono è parente non proprio lontano di Million dollar baby. Distribuisce nelle sale italiane Movies Inspired.