Mondo

“Tra Iran e Israele è in corso una guerra di nervi, ma la situazione può sfuggire di mano. Teheran è stata più razionale” – L’intervista

Una guerra di nervi, uno scontro tra i due principali rivali del Medio Oriente combattuto, fino a oggi, all’interno di limiti pericolosi da varcare. Così la Professoressa Giorgia Perletta, docente di Geopolitica ed esperta di Iran contemporaneo all’Università Cattolica di Brescia, al Master in Middle Eastern Studies dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) di Milano e collaboratrice presso il Centro Alti Studi per la Difesa, ha spiegato a Ilfattoquotidiano.it quali siano gli obiettivi e la strategia di Teheran in questo conflitto e a lungo termine. E precisa: “In questo anno di guerra, Teheran ha dimostrato maggiore razionalità di Tel Aviv“.

Nelle ultime settimane abbiamo sentito parlare spesso di “Asse del male” guidato dall’Iran. Perché Israele insiste molto su questo concetto? Qual è il messaggio che vuole veicolare?
Il concetto di “Asse del Male” è stato usato per la prima volta dal presidente americano George W. Bush nel 2002 durante un discorso pubblico in cui sosteneva che Iran, Corea del Nord e Iraq appartenessero appunto a quest’asse perché sostenitori del terrorismo internazionale e della proliferazione nucleare. A livello accademico è più corretto parlare di “Asse della Resistenza”. L’Iran post rivoluzione – sempre più isolata nel panorama internazionale – ha messo in piedi un sistema di connessioni con diverse milizie operanti nella regione mediorientale, tra cui ad esempio Hezbollah in Libano, Hamas nella Striscia di Gaza, il Jihad Islamico nel contesto palestinese, diverse milizie sciite irachene, gli Houthi in Yemen. Teheran si è posta a guida di questi movimenti che hanno tutti un comune denominatore: l’avversità all’esistenza dello Stato ebraico perché ritenuto non solo una minaccia per la sicurezza dei Paesi arabi, ma anche frutto di un sistema imperialista che si impone a scapito della popolazione palestinese e quindi dei musulmani più in generale. Questi attori non statali non devono essere considerati dei proxy – o come spesso vengono definiti “burattini nelle mani dell’Iran” – perché ogni singolo attore ha delle agende locali e degli obiettivi che vuole raggiungere. Teheran offre un piuttosto un sostegno economico, logistico e militare. È da qui che bisogna partire per capire le ragioni per cui Israele cerca di porre la Repubblica Islamica come nemico principale contro cui combattere.

In questo anno di guerra abbiamo assistito al più sanguinoso attacco di Hamas della storia, alla più violenta campagna militare di Israele, mentre l’Iran ha spesso temporeggiato nel rispondere. Alla luce di questo, ritiene corretto basare questa guerra sul pericolo sicurezza dovuto alle azioni dell’Iran?
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, Teheran è stata molto chiara nel definire la sua posizione decidendo di non intervenire direttamente nel conflitto per una serie di ragioni. In primo luogo perché da anni il Paese sta affrontando una grave crisi economica interna. Da un punto di vista strategico e militare, invece, l’Iran utilizza la dottrina della cosiddetta “pazienza strategica” per raggiungere i suoi obiettivi di lungo periodo, minimizzando i costi ed evitando uno scontro diretto con il nemico. Questo perché Teheran sa di avere una relativa inferiorità convenzionale militare nei confronti di Israele e degli Stati Uniti che vantano apparati di sicurezza, arsenali e sistemi militari molto più sviluppati e tecnologicamente avanzati. Venendo al conflitto in corso, Teheran si è sempre dimostrata molto razionale perché non ha ceduto alle provocazioni di Israele. È stato bombardato il consolato iraniano a Damasco, sono stati uccisi chirurgicamente i generali delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche ed è stato ucciso il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh proprio a Teheran. Quindi no, l’Iran non vuole una guerra aperta.

Che paese è l’Iran e quale valenza geopolitica ha nella regione?
È un paese ricco di risorse naturali e di idrocarburi, è esteso da un punto di vista geografico e ha una popolazione di 85 milioni di abitanti. Gli iraniani sono altamente istruiti e la maggioranza degli studenti universitari è donna. La società civile è fortemente sviluppata e per questo l’Iran è da considerarsi uno Stato chiave per comprendere le dinamiche mediorientali. Il modello iraniano non è però mai stato emulato dagli altri gruppi sciiti nella regione, dal 1979 il Paese è sempre stato visto con un certo sospetto, soprattutto dai paesi mediorientali a maggioranza sunnita proprio per il suo carattere rivoluzionario.

Che rapporti intrattiene con l’altro gigante regionale, l’Arabia Saudita?
Ogniqualvolta un Paese ha cercato di imporsi come guida regionale, i risultati attesi non sono mai stati raggiunti e questo ha portato a uno scontro – se vogliamo – più geopolitico che ideologico o religioso tra Arabia Saudita e Iran. Negli ultimi anni si è parlato spesso di asse sciita e di opposizione saudita all’ascesa ideologica dell’Iran. Oggi però, a fronte della significativa crisi economica che sta fronteggiando, l’Iran si sta mostrando disposta a normalizzare i rapporti con l’Arabia Saudita. Già lo scorso anno era stato annunciato il possibile disgelo tra le due potenze regionali ed è anche recente la visita che il ministro degli Esteri iraniano ha fatto a Riyad proprio per incontrare il futuro successore alla corona Mohammad bin Salman, nell’ottica di discutere della questione regionale, quindi anche della questione palestinese e di una possibile risposta all’aggressività israeliana.

Parlando di nucleare, lei ritiene concreta la possibilità di un’invasione da parte di Israele come forma di “difesa preventiva” o siamo di fronte al famoso “can che abbia ma non morde”?
In questo momento storico ritengo che Israele stia utilizzando la stessa strategia usata da Teheran quando annunciò lo scorso luglio che avrebbe attaccato per vendicare la morte di Haniyeh. Nonostante le minacce, infatti, il contrattacco iraniano si è verificato a fine settembre. Penso piuttosto che Israele voglia testare quanto i nervi di Teheran siano saldi. La risposta di Israele ci sarà ma – probabilmente – andrà a colpire strutture strategiche e militari nel territorio iraniano, non penso che si verificherà un’invasione di terra classicamente intesa. L’Iran sta aspettando la mossa di Israele e si sta preparando a neutralizzare e rispondere all’attacco ma, al momento, è molto complesso fare delle previsioni perché navighiamo in un contesto molto scivoloso e imprevedibile.