Quella tra giovedì e venerdì potrebbe essere ricordata come la lunga notte del diritto d’asilo. Per la dozzina di richiedenti trattenuti nel centro albanese di Gjader, infatti, non stiamo pagando solo i costi della nave da 80 metri della Marina, ma anche la trasferta, taciuta, della commissione prefettizia di Roma per l’esame delle domande d’asilo. Che sembrava dover operare in video collegamento e invece, come hanno scoperto i parlamentari italiani entrati nel centro, è stata portata in Albania e si è subito messa al lavoro, nonostante il trattenimento dei richiedenti debba ancora essere convalidato dai giudici competenti, quelli del Tribunale di Roma. Una prassi a dir poco controversa che il governo sta spingendo anche in in Italia, ma che per i 12 rinchiusi in Albania potrebbe fare la differenza già nelle prossime ore.
Andiamo con ordine e partiamo dal presupposto per l’esame accelerato in frontiera, quello che in queste ore la commissione di Roma sta eseguendo su migranti egiziani e bangladesi in quanto provenienti da Paesi che l’Italia considera sicuri seppure con l’esclusione di categorie di persone a rischio. Il 4 ottobre la Corte di giustizia europea ha sentenziato che il diritto europeo non lo ammette, che un Paese è sicuro per tutti o non lo è per nessuno. Significa che migranti dall’Egitto e dal Bangladesh non li puoi trattenere, nemmeno in Albania. Le sentenze della Corte sono vincolanti per ogni Stato membro in ogni sua parte, compreso il governo che avrebbe dovuto applicarla immediatamente. Invece l’ha ignorata portando i migranti in Albania, in violazione dell’ordinamento europeo e della Costituzione che impone il rispetto dei vincoli da questo derivanti.
Arrivati i migranti, la commissione ha disposto la procedura accelerata e in funzione di questa la Questura di Roma ha chiesto al Tribunale capitolino la convalida del trattenimento a Gjader. Le richieste sono motivate con l’origine da Paese sicuro, sempre ignorando la Corte Ue alla quale anche la pubblica amministrazione sarebbe tenuta a conformarsi. Chi proprio non la può ignorare sono i giudici di Roma, e applicandola farebbero decadere il presupposto per trattenere i richiedenti, che andrebbero immediatamente riportati in Italia. Le risposte dei magistrati romani sono attese per venerdì, forse già a metà giornata. Ma potrebbe essere tardi. Se la commissione farà in tempo a respingere le domande entrerà in gioco il nuovo decreto 145 del 11 ottobre che, per le procedure in frontiera, prevede che la decisione rechi anche “l’attestazione dell’obbligo di rimpatrio e produce gli effetti del provvedimento di respingimento“. A quel punto la decisione dei giudici sarebbe superata ai fini dell’esame della domanda, già eseguito in tempi rapidissimi e con minori garanzie. Quanto al trattenimento, la mancata convalida del Tribunale dovrebbe comunque produrre i suoi effetti, che in base all’accordo con l’Albania significa il trasferimento in Italia. Trasferimento di persone che però non hanno diritto a stare in Italia, già destinatarie di un ordine di espulsione, che facciamo entrare perché dei giudici hanno deciso così, come se non fossero l’ordinamento europeo e la Costituzione a imporlo. Una forzatura ai danni di chi, in base alla legge, non avrebbe mai dovuto essere esaminato con quella procedura rapida e povera di tutele, e mai condotto in Albania.
Di lì in poi, sempre per le norme del decreto 145 cucite apposta per i centri albanesi, al richiedente che incassa il diniego e il respingimento resterà solo la possibilità di impugnare il tutto. Ma il ricorso lo deve proporre il richiedente e se si trova ancora in Albania, chiuso a Gjader, dove lo trova un avvocato di fiducia che glielo spiega? Nel caso in cui gli riuscisse di impugnare il diniego, sulla richiesta di sospendere il respingimento fino alla decisione sul ricorso resta competente il Tribunale di Roma. Ma il legale deve ottenere la procura speciale dal richiedente, che va raccolta e autenticata. Tutto in salita, che diventerà ancora più ripida quando i termini per il ricorso scenderanno da 14 a 7 giorni come ha già deciso il governo con effetto differito. Ci vuole coraggio a chiamare “diritto alla difesa” questo complicato incastro in cui il diritto d’asilo è diventato l’attore più fragile. Il prezzo dell’operazione Albania non è solo quello degli ingenti costi. La posta è molto più alta, ha a che fare con i diritti fondamentali e il governo ha deciso di giocarsi tutto.