Diritti

Lavoratori stranieri, la Pa ancora in ritardo sulle regolarizzazioni. Una sanatoria senza fine

di Sara Albiani, policy advisor di Oxfam Italia

“I suoi diritti sono proprio calpestati… In tutto questo periodo di attesa non ha potuto aprire un conto corrente, le dobbiamo pagare lo stipendio in contanti, non ha potuto iscriversi al sistema sanitario nazionale, non ha potuto tornare a casa sua o andare in vacanza all’estero. È prigioniera del nostro paese, nonostante abbia un lavoro regolare e paghi i contributi”. Sono queste le parole della figlia della datrice di lavoro di S., una giovane badante straniera che nell’ormai lontano 2020 ha presentato domanda di regolarizzazione e che è stata convocata in Prefettura solo nel 2023, per poi vedersi rigettata l’istanza pochi mesi fa.

È una storia drammatica ed emblematica di quello che in questi anni è accaduto a tante, troppe persone e che la campagna Ero Straniero – di cui Oxfam è tra i promotori – ha raccolto per dare un volto ai dati analizzati nel lavoro di monitoraggio, che ha portato avanti negli anni per valutare l’efficacia dell’ultima sanatoria.

Durante l’emergenza pandemica da Covid-19, il governo Conte con il cosiddetto Decreto rilancio del 19 maggio 2020 ha varato un programma di formalizzazione dei rapporti di lavoro irregolari o da instaurare, a cui hanno potuto accedere anche lavoratori e lavoratrici di paesi terzi presenti in Italia in condizione di soggiorno irregolare. Le domande potevano essere presentate entro il 15 agosto 2020 ed erano limitate ad alcuni settori produttivi, tra cui l’agricoltura e il lavoro domestico e di cura.

Una domanda di regolarizzazione su 4 quattro aspetta ancora un riscontro

Secondo i dati raccolti dalla Campagna Ero Straniero al 30 giugno 2024, però solo il 74,8% delle domande sono state esaminate nel merito e si sono concluse (con un accoglimento o un rigetto). Ben oltre il 25% sono invece ancora in attesa di un riscontro definitivo da parte della pubblica amministrazione, costringendo così migliaia di persone straniere all’invisibilità, se si considera che chi è in possesso della sola ricevuta della domanda di regolarizzazione o di rilascio del primo permesso di soggiorno non può stipulare un altro contratto di lavoro, aprire un conto corrente, effettuare l’iscrizione anagrafica, lasciare il territorio italiano per far visita alle proprie famiglie.

Proprio di fronte agli inadempimenti della pubblica amministrazione, sono state promosse due class action pubbliche contro le Prefetture di Roma (ancora in corso) e Milano (il cui iter si è definitivamente concluso alcune settimane fa).

La class action contro la Prefettura di Milano è promossa da Asgi, Oxfam, Cild, Spazi circolari, Naga e oltre 100 cittadini stranieri ed italiani, con il supporto di Attiva Diritti e sostenuta da un ampio collegio di avvocati: oltre che da quelli in procura, da Gennaro Santoro, Giulia Crescini, Valeria Capezio, Nicola Datena, Giulia Vicini, Maria Teresa Brocchetto, Francesco Mason, Benedetta Tonetti, Pietro Di Stefano. L’azione legale, dopo un iter complesso, si è conclusa con la sentenza del Consiglio di Stato che costituisce un precedente estremamente significativo. La sentenza, infatti, ribadisce il principio secondo cui il termine massimo, anche nel diritto dell’immigrazione, per portare a termine una qualsiasi procedura amministrativa è di 180 giorni.

In presenza di adeguate risorse finanziarie, come nel caso della sanatoria, si è quindi sancito il principio che la Pubblica amministrazione non può giustificare i suoi ritardi sulla base di presunte difficoltà derivanti dall’elevato numero di domande o dalla presunta presenza di numerosi tentativi di falsificazioni.

Se da un lato è quindi positivo che per via giudiziaria si sia ristabilito un principio di fondamentale importanza la cui non ottemperanza ha di fatto “sospeso” ingiustamente la vita di migliaia di persone, il nodo della questione va comunque affrontato anche sul piano politico e normativo.

L’urgenza di una riforma strutturale

Dopo sette sanatorie e dopo aver ascoltato moltissime testimonianze è ormai chiaro che lo strumento della regolarizzazione straordinaria rappresenti una soluzione emergenziale, applicata con gravi inadempienze da parte della pubblica amministrazione, a un problema che è invece strutturale. Le risposte che offre difficilmente possono ritenersi soddisfacenti e in linea con le reali esigenze del Paese. È necessaria una riforma organica che vada oltre le misure varate negli ultimi anni – ancora troppo timide, seppur positive – al fine di disegnare un sistema flessibile, in grado di favorire l’ingresso in maniera regolare della manodopera straniera e garantire l’inclusione sociale e lavorativa nel paese, azzerando la creazione di irregolarità.

Per esempio, il decreto-legge approvato il 2 ottobre dal Consiglio dei ministri, che interviene sul sistema del decreto flussi, prevede l’assunzione di nuovo personale nell’organico dei ministeri degli interni e degli esteri: un primo passo obbligato di fronte alla situazione degli uffici, ma l’investimento da fare per assicurarne il funzionamento e garantire il buon andamento della pubblica amministrazione è ben altro.

Lo stesso decreto-legge, poi, prevede per lavoratori e lavoratrici stagionali, alla fine del periodo trascorso per svolgere l’attività per cui sono stati assunti, la possibilità di restare per 60 giorni in Italia per trovare un nuovo impiego: l’introduzione di questo cuscinetto, seppur brevissimo, va nella giusta direzione, perché consentirà di evitare che restino sul nostro territorio persone entrate regolarmente ma che, una volta rimaste senza titolo, sarebbero andate incontro a precarietà e lavoro nero, non essendoci la possibilità di una regolarizzazione successiva, anche di fronte all’offerta di un contratto di lavoro. Serve però più coraggio.

La proposta della campagna Ero straniero

Per far uscire dall’invisibilità persone senza documenti presenti sul territorio italiano, da tempo la campagna Ero Straniero propone l’introduzione di un meccanismo sempre accessibile di emersione, su base individuale, a fronte della disponibilità all’assunzione da parte del datore di lavoro o di un effettivo radicamento nel territorio, senza dover ricorrere a misure straordinarie. Un meccanismo che funzioni e consenta il rispetto dei diritti di lavoratori e lavoratrici di origine straniera e delle esigenze del mondo produttivo e delle famiglie.