Le banche e le assicurazioni, come emerso nei giorni scorsi, non daranno un vero contributo aggiuntivo ma solo un anticipo di tasse che sarà poi recuperato dal 2027. Da dove verranno allora le coperture della prossima manovra, al netto dei 9 miliardi di deficit che il governo può fare grazie alla crescita del pil superiore alle attese e alle maggiori entrate tributarie? In parte da pesanti tagli ai ministeri – 2,4 miliardi – e agli enti locali, in parte da maggiori tasse. La narrazione secondo cui “nessuno pagherà di più”, portata avanti dall’esecutivo, non regge alla prova dei numeri.

A smentirla è innanzitutto il fatto che 3,4 miliardi arriveranno – per il tramite del fondo per l’attuazione della delega fiscale – dall’abrogazione dell’Aiuto per la crescita economica, un’agevolazione fiscale che incentiva il reinvestimento degli utili in azienda ed era nata per rimediare a uno degli annosi punti deboli del sistema produttivo italiano rispetto a quelli dei competitor europei: l’eccesso di finanziamento a debito invece che con capitale di rischio. Il governo Meloni l’ha cancellata lo scorso anno con il decreto per l’attuazione del primo modulo di riforma delle imposte sul reddito delle persone fisiche, per recuperare risorse con cui finanziare tra l’altro la “super deduzione del costo del lavoro”. L’effetto netto di questa scelta è un aumento dell’imponibile Ires, quindi delle tasse. Soldi che ora vengono usati a copertura della legge di Bilancio, appunto. Altri 400 milioni derivano dal gettito della nuova imposta minima del 15% sulle multinazionali introdotta a livello europeo. Con la manovra, poi, il governo ha deciso di eliminare le soglie di fatturato sotto le quali non si applicava la web tax, cioè l’imposta del 3% sui ricavi derivanti da servizi digitali: dal 2025 dovrà essere versata dalle imprese di qualsiasi dimensione. Molte imprese, dunque, pagheranno di più.

Quanto alle famiglie, il riordino delle detrazioni annunciato dal viceministro Maurizio Leo porterà “oltre un miliardo” di maggior gettito. Più sale il reddito, più basso sarà il tetto massimo di spese detraibili. Tutte le spese, comprese quelle mediche, gli interessi sui mutui, le spese per i lavori di ristrutturazione in casa. Questo si traduce ovviamente in maggiori tasse. Dovrebbero “salvarsi” le famiglie con figli a carico, perché l’asticella si alzerà all’aumentare dei componenti del nucleo. C’è poi da considerare l’annunciato “allineamento” delle accise sul diesel a quelle sulla benzina, che – ha anticipato Giorgetti – non è in manovra ma sarà inserito nel decreto legislativo collegato: da lì è atteso un altro miliardo. “Io la macchina ce l’ho a gasolio, pagherò un centesimo in più al litro, una stangata da cui non mi riprenderò più”, ha ironizzato il ministro, che del resto nel 2023 ha dichiarato oltre 99mila euro di reddito.

Durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi Leo ha poi annunciato un maxi aumento di tasse a carico di chi guadagna dalla compravendita di criptovalute: la ritenuta sulle plusvalenze passerà dal 26% al 42%. Un intervento chirurgico, che lascerà invariata la tassazione degli altri redditi finanziari. Opportuno chiarire che la platea coinvolta è tutt’altro che piccola: secondo un recente studio della Commissione nazionale per le società e la borsa, la percentuale di investitori italiani che detengono criptovalute in portafoglio è salita al 18%.

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