Mai così tanti minori in povertà assoluta da quando vengono aggiornate le serie storiche: nel 2023 sono stati quasi 1,3 milioni, il 13,8% del totale. Record anche per i nuclei in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente – l’incidenza ha toccato il 9%, in forte salita dall’8,3% del 2022 – e per il sottoinsieme che vede come “capofamiglia” un operaio: in quella platea l’indigenza raggiunge il 16,5% del totale, contro il 14,7% del 2022. I dati definitivi dell’Istat confermano, con piccole variazioni, quelli preliminari pubblicati la scorsa primavera. E sono preoccupanti. Lo scorso anno le persone povere assolute in Italia erano 5,693 milioni, tra cui 3,9 milioni di italiani e 1,7 milioni di stranieri, in lieve aumento dalle 5,674 del 2022 e pari al 9,7% della popolazione, mentre le famiglie coinvolte sono salite anche in questo caso lievemente da 2,187 a 2,217 milioni. I segnali peggiori riguardano chi vive del proprio lavoro: l’emergenza dei bassi salari, complice la fiammata dei prezzi che ha falcidiato il potere d’acquisto, ha avuto un impatto pesante nonostante le misure rivendicate dal governo a partire dal taglio del cuneo fiscale per i dipendenti con redditi sotto i 35mila euro, confermato dalla legge di Bilancio per il 2025. A soffrire particolarmente, per lo stesso motivo, sono i nuclei residenti al Nord. L’avvio della “rottamazione” del reddito di cittadinanza, poi sostituito con misure che raggiungono una platea molto più piccola, ha fatto il resto.

“Nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro nel 2023”, sottolinea infatti l’istituto di statistica, “l’impatto dell’inflazione ha contrastato la possibile riduzione dell’incidenza di famiglie e individui in povertà assoluta”. Le spese per consumi delle famiglie meno abbienti non hanno potuto tenere il passo: in termini reali sono calate dell’1,5%. L’Istat, va ricordato, classifica come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore a una soglia che cambia a seconda della dimensione e composizione per età della famiglia, della regione e del tipo di comune di residenza.

L’istruzione “protegge”, il lavoro non più – La povertà assoluta tende a diminuire al crescere del titolo di studio della persona di riferimento della famiglia: è del 12,3% se ha al massimo la licenza di scuola media, del 4,6% (in aumento dal 4% dell’anno prima) se ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore. Il lavoro, invece, non basta più a proteggere dalla povertà: tra le famiglie con persona di riferimento operaio o assimilato l’incidenza della povertà è salita dal 14,7% del 202 al 16,5%, il valore più elevato della serie dal 2014. Stessa dinamica per le incidenze tra occupati e dipendenti. Proprio oggi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla cerimonia di consegna delle “Stelle al Merito del Lavoro” ha ricordato che “l’occupazione, non solo nel nostro Paese, si sta frammentando, tra una fascia alta, in cui a qualità e professionalità corrispondono buone retribuzioni, mentre in basso si creano sacche di salari insufficienti, alimentati anche da part-time involontario, e da precarietà. Si tratta di un elemento di preoccupante lacerazione della coesione sociale”.

Tra gli stranieri incidenza di quattro volte e mezzo superiore – I dati definitivi confermano quello che a marzo Palazzo Chigi aveva utilizzato come “giustificazione” dei dati preliminari dell’Istat: l’incidenza della povertà assoluta tra gli stranieri è del 35,1%, oltre quattro volte e mezzo superiore a quella degli italiani (7,4%). Le famiglie in povertà assoluta sono nel 68,6% dei casi famiglie di soli italiani – oltre 1,5 milioni – e per il restante 31,4% famiglie con stranieri (697mila), nonostante queste ultime siano solamente l’8,7% di tutte le famiglie residenti.

Il disagio tra i minori – Il 13,8% dei minori come anticipato è in povertà assoluta: si parla di quasi 1,3 milioni di bambini e ragazzi, dal 13,4% del 2022. Ed è stabile all’11,8% – pari a 1,145 milioni di individui – fra i giovani di 18-34 anni. Per i 35-64enni è al 9,4%, come nel 2022: si tratta comunque del valore massimo raggiunto dalla serie storica. Sostanzialmente invariata anche l’incidenza di povertà assoluta fra gli over 65: 6,2%, quasi 887mila persone. Come sempre, l’indigenza colpisce di più i nuclei con più componenti: tra le famiglie con quattro componenti l’11,9% è in povertà, percentuale che sale al 20,1% tra quelle con cinque e più componenti. Il disagio più marcato si osserva per le famiglie con tre o più figli minori, dove l’incidenza arriva al 21,6%, e più in generale per le coppie con tre o più figli (18%).

Cresce la povertà al Nord – L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si mantiene più alta nel Mezzogiorno (dove coinvolge oltre 859mila famiglie, il 10,2%), seguita dal Nord-ovest (8%, 585mila famiglie) e Nord-est (7,9%, 413mila famiglie), mentre il Centro conferma i valori più bassi (6,7%, 360mila famiglie). Ma se si guarda alle variazioni rispetto all’anno prima, l’aumento riguarda soprattutto per i residenti nel Nord-ovest (9,1% dall’8,2% del 2022), mentre per chi vive al Sud si registra una riduzione dal 13,3 al 12%. Anche l’intensità della povertà assoluta, che misura “quanto poveri sono i poveri” (quanto la spesa mensile delle famiglie povere sia in media al di sotto della linea di povertà), sale al Nord al 18,6% dal 17,6% del 2022, con un incremento maggiore nel Nord-est, dove arriva al 18% dal 16,5% del 2022. Un incremento si registra anche nel Centro (18 %, dal 17,1% del 2022) mentre l’intensità si riduce nel Mezzogiorno, scendendo al 17,8% dal 19,3% del 2022.

“Dati drammatici e vergognosi” – “Si tratta di dati drammatici e vergognosi, non degni di un Paese civile”, commenta Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, dicendo che “bisogna fare molto di più per aiutare chi non ce la fa ad arrivare alla fine del mese, per esempio nella prossima manovra concentrando le risorse su chi ha meno di 28mila euro, rinviando gli aiuti per quelli che arrivano fino a 40mila euro che non devono certo attendere l’arrivo dello stipendio per poter andare a fare la spesa”. Secondo Dona “l’aver ridotto, per i bonus sociali sulle bollette di luce e gas, la soglia Isee che era stata aumentata dal Governo Draghi, facendola scendere da 15.000 euro a 9.530, quando invece avrebbero dovuto alzarla ulteriormente, è stata una pessima scelta da parte del Governo Meloni. Il caro vita, poi, e l’inflazione alle stelle, certo non contrastata con la sceneggiata del Trimestre Anti-inflazione, ha dato il colpo di grazia definitivo agli italiani in difficoltà”.

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