Il naufragio in mare, il salvataggio, il trasbordo sulla Libra, tre giorni di viaggio fino all’Albania, mezza giornata passata dentro l’hotspot tra una serie di colpi di scena, una notte di attesa e un domani tutto da raccontare. Tu chiamala se vuoi, accoglienza. “Primo giorno di scuola” per il governo Meloni, per l’inaugurazione operativa dell’hotspot di Shengjin e il centro di trattenimento di Gjader, e subito una serie di brutte figure. Quasi un terzo dei richiedenti asilo egiziani e bengalesi, 5 su 16, sono stati portati in Italia. I primi tre erano tra minore e maggiore età: sussistendo il dubbio che potessero rientrare tra i cosiddetti “soggetti fragili” sono stati caricati a bordo di un gommone della finanza per poi essere riportati sulla Libra partita poche ore prima; in serata è arrivata poi la notizia di altri due soggetti portati in Italia, stavolta per motivi di salute visto che non potevano essere curati in Albania.

La prima operazione di sbarco e identificazione della missione albanese di Palazzo Chigi è iniziata di mattina presto e alle 23 il passaggio tra hotspot e il centro di accoglienza non era ancora avvenuto. Non è escluso però che abbiano dovuto trascorrere la notte dentro l’hotspot, che però non ha niente per alloggiare persone. Per loro un’ennesima giornata tremenda sotto i 30 gradi della classica ottobrata del nord dell’Albania. Neppure il tricolore e il vessillo blu stellato dell’Unione Europea li possono aver tranquillizzati, ammesso che abbiano dato importanza alle bandiere. Sono state montate solo all’ingresso posteriore dell’hotspot di Shengjin, lato mare, invisibili dall’esterno dello scalo. Non ce ne sono invece al Cpr di Gjader. Viene da chiedersi se all’interno delle strutture in terra albanese sarà in vigore il diritto comunitario o quello italiano. In fondo il progetto è tutto del governo Meloni e, per ora, Bruxelles si è limitata a dirsi “interessata” e ben disposta a replicare il piano in altri Paesi extraeuropei, magari quelli desiderosi di allargare la famiglia dei 27.

La nave della Marina Militare che ha prelevato i migranti nel Mediterraneo ha ormeggiato al porto di Shengjin poco dopo le 7,30 e il calvario per i richiedenti protezione è proseguito in una lunga, estenuante, vana attesa per tutta la giornata. Tre ore solo per toccare terra: non quella italiana come avevano preventivato, bagnata da Ionio e Adriatico, ma opposta alle rive dello Stivale. Infine alle 10,30 è iniziata la loro vita di migranti e probabilmente di richiedenti asilo “diniegati” – l’Italia considera egiziani e bengalesi cittadini di Paesi “sicuri” – in Europa, ma non nell’Unione Europea.

E non poteva che andare peggio. Sbarcati dalla Libra (che poi è di nuovo salpata verso le coste italiane) i 16 uomini adulti (poi ridotti a 11) sono stati inghiottiti dall’hotspot e lì dentro hanno atteso la scaletta delle formalità per mezza giornata. “Le pratiche sono molto delicate e richiedono tempo” ha detto il comandante del porto di Shengjin ai giornalisti, in larga maggioranza italiani, che hanno atteso in maniera spasmodica perdendo presto la speranza: “Le operazioni dovrebbero concludersi verso le 16,30, poi è previsto il trasferimento a Gjader” ha stimato. Valutazioni sballate, promesse di Pulcinella o piuttosto l’inevitabile deriva di una “prima volta” che non si potrà dimenticare.

Col passare delle ore le magagne sono spuntate come funghi; prima i tre probabili minorenni, poi i due con problemi di salute. In nessuno dei due centri d’altra parte è stata prevista una postazione per fare gli esami medici (come quello al polso per esempio) necessari per stabilire la minore età. E gli albanesi non possono farlo perché non ne hanno il diritto. Soprattutto resta da capire com’è stato possibile che le verifiche (o almeno le valutazioni) su età e salute non siano state effettuate prima di salpare per l’Albania. E perché tutto questo tempo per sbrigare le formalità per appena 16 persone? Semplice, perché le pratiche richiedono tempi lunghi e non si può immaginare cosa accadrebbe se i migranti portati in Albania fossero 100-150 (se non di più) in un colpo solo. Gli 11 tra egiziani e bengalesi sono stati sottoposti alle pratiche per il riconoscimento, alle visite mediche con prelievo del sangue e soprattutto sono stati “intervistati” dalle autorità dell’immigrazione italiana per porre le basi della richiesta di protezione. Verso mezzogiorno hanno mangiato qualcosa: “Gli abbiamo portato del cibo – racconta uno dei volontari di un’associazione albanese -. Sì, li abbiamo visti, erano silenziosi, spaesati, i volti molto tirati. Non avevano ben realizzato dove si trovassero, forse neppure che erano arrivati in Albania e non in Italia”.

Il momento tanto atteso del trasbordo da Shengjin al Cpr di Gjader è stato poi posticipato di ora in ora e nel frattempo sul centro per migranti inaugurato con quasi cinque mesi di ritardo sono calate le tenebre. Nel frattempo i giornalisti si erano spostati proprio davanti al cancello d’ingresso del centro di trattenimento nella vana attesa di poter documentare l’arrivo con la luce del giorno. Un viavai di veicoli e telecamere. Code, ingorghi lungo la stradina di campagna a lungo intasata. Fuori due poliziotti albanesi (attempati e fuori forma), al di là del cancello d’ingresso uno stuolo di agenti della polizia di Stato e di carabinieri. In fondo tutto ciò che c’è all’interno del perimetro del centro, bordato da mura e inferriate alte sette metri, è assolutamente made in Italy. Il governo Meloni aveva fretta di inaugurare le strutture di Gjader e negli ultimi due mesi non è andato per il sottile, ma di lavoro da fare ce n’è ancora e prosegue ogni giorno. Il Fatto Quotidiano lo ha seguito dall’inizio della costruzione, all’inizio di maggio, quando ancora non c’erano che delle gru escavatrici parcheggiate in attesa di risolvere i problemi geologici del terreno. Sono saltate così tre date buone per l’inaugurazione: il 23 maggio, il 1° agosto e il 15 settembre. Quando il sole è tramontato sopra la base di Gjader, sostituito da una luna piena straordinaria, dalla montagna che sovrasta il centro di trattenimento, un gregge di pecore, con tanto di pastore e cane al seguito, ha iniziato a scendere il ripido e selvaggio declivio. Anche le pecore si sentono più libere di quel pugno di naufraghi salvati nel Canale di Sicilia.

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