I giudici del competente Tribunale di Roma hanno respinto le richieste di convalida dei trattenimenti dei 12 richiedenti nel centro di Gjader, in Albania. E più che di una decisione si è trattato di una scelta obbligata, come ha spiegato il Tribunale in un comunicato fatto uscire subito dopo i provvedimenti. “I trattenimenti non sono stati convalidati in applicazione dei principi enunciati dalla recente pronuncia della CGUE del 4 ottobre 2024 a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal giudice della Repubblica ceca”. Come spiegato nel dettaglio dal Fatto, la Corte di giustizia dell’Unione europea, tenuta all’interpretazione del diritto Ue stavolta su richiesta del giudice ceco, aveva già fatto saltare il presupposto per le procedure da avviare in Albania, cioè la provenienza del migrante da uno dei Paesi di origine considerati sicuri dall’Italia. Che ne elenca 22 ma per 15, compresi Egitto e Bangladesh da cui provengono i migranti di Gjader, il governo italiano esclude alcune categorie di persone perché considerate a rischio. La Cgue ha stabilito che il diritto Ue non lo ammette, che un Paese è sicuro per tutti e non lo è per nessuno.
Una sentenza che, scrive il Tribunale nel suo comunicato, è vincolante “per i giudici nazionali e per la stessa Amministrazione”. E se l’Amministrazione l’ha ignorata, predisponendo il trasferimento in Albania e avviando l’esame accelerato delle domande d’asilo, i giudici non hanno potuto farlo. “Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal Protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia”. Il rispetto della sentenza della Corte Ue, imposto dalla Costituzione italiana, avrebbe dunque dovuto fermare tutto fin dall’inizio, fin dal trasferimento dei migranti da Lampedusa a bordo della nave Libra della Marina Militare.
Ma così non è stato. Anzi, arrivati a Gjader i richiedenti sono stati subito sottoposti all’esame accelerato delle domande, che sono state respinte dalla commissione d’asilo ancor prima che i giudici potessero esprimersi. Un’operazione che, scrivono ora i magistrati di Roma, è stata fatta in assenza dei necessari presupposti. “L’insussistenza, come esposto, del presupposto necessario per la procedura di frontiera e per il trattenimento determina l’assenza di un titolo di permanenza del richiedente protezione nelle strutture di cui all’art. 4, comma 1, del Protocollo (Italia-Albania, ndr) e all’art. 3, comma 4, della Legge di ratifica”, si legge in uno dei provvedimenti scritti dai giudici. Che precisano: “Il giudizio di convalida dei trattenimenti è uno strumento di garanzia, necessaria per principio costituzionale, dello status libertatis, che deve, quindi, essere riacquisito in caso di non convalida”. E non è tutto. Visto che in sede di udienza i giudici si sono visti notificati i dinieghi alle domande d’asilo dei 12 richiedenti, processate a spron battuto nella giornata di giovedì 17 dalla commissione d’asilo trasferita per l’occasione a Gjader, il provvedimento precisa ulteriormente l’obbligo di rilasciare e quindi trasferire in Italia i migranti.
E lo fanno citando lo stesso Protocollo firmato dal governo Meloni. “Le prescrizioni del Protocollo, fra cui l’art. 4, comma 3, e l’art. 6, comma 5, secondo i quali, rispettivamente, «Nel caso in cui venga meno, per qualsiasi causa, il titolo della permanenza nelle strutture, la Parte italiana trasferisce immediatamente i migranti fuori dal territorio albanese» e «Le competenti autorità italiane adottano le misure necessarie al fine di assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle Aree, impedendo la loro uscita non autorizzata nel territorio della Repubblica d’Albania», sia durante il perfezionamento delle procedure amministrative che al termine delle stesse, indipendentemente dall’esito finale, comportano che in caso di non convalida del trattenimento e di mancanza del titolo di permanenza nelle strutture albanesi, come nel presente caso, lo status libertatis può essere riacquisito soltanto per il tramite delle Autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia“. Lo faranno già domani, sabato 19, a bordo di una nave militare.