Economia

La flat tax non fa emergere l’evasione: perché allargare ancora l’aliquota al 15% per gli autonomi cara alla Lega sarebbe uno spreco

La flat tax non fa emergere il nero. La tesi un tempo cara a Silvio Berlusconi e poi rispolverata da Matteo Salvini per sostenere che la tassa piatta “si ripaga da sola” è smentita non solo dall’evidenza empirica che arriva dai Paesi che in passato l’hanno applicata su tutti i redditi, ma anche dai dati […]

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La flat tax non fa emergere il nero. La tesi un tempo cara a Silvio Berlusconi e poi rispolverata da Matteo Salvini per sostenere che la tassa piatta “si ripaga da sola” è smentita non solo dall’evidenza empirica che arriva dai Paesi che in passato l’hanno applicata su tutti i redditi, ma anche dai dati del dipartimento Finanze del ministero dell’Economia. Che mostrano come, dopo l’aumento a 65mila euro del tetto di fatturato per l’adesione al cosiddetto regime forfettario, il reddito medio dichiarato dalle partite Iva che l’hanno scelto sia aumentato meno di quello degli autonomi e delle piccole imprese che hanno continuato a pagare l’Irpef. Ad analizzare i numeri è stato Alessandro Santoro, docente di Scienza delle Finanze all’università di Milano Bicocca ed ex presidente della commissione del Mef che stima l’evasione fiscale. I risultati, che ilfattoquotidiano.it può anticipare, saranno pubblicati nel suo libro in uscita a gennaio per Vita e Pensiero Editrice.

Premessa: nonostante in generale le somme non versate all’erario stiano diminuendo sia in valori assoluti sia in rapporto al gettito atteso, l’evasione dell’Irpef da lavoro autonomo e impresa resta inscalfibile: 30 miliardi in valore assoluto che corrispondono a una propensione al gap del 66,8%. Cioè gli autonomi evadono quasi il 70% dell’imposta che dovrebbero versare, sottraendo risorse ai servizi pubblici e facendo aumentare il carico fiscale sui contribuenti onesti. Per la Lega la soluzione è la flat tax per tutti: secondo il Carroccio ridurrebbe l’incentivo a nascondere redditi e farebbe salire gli incassi in nome di un fantomatico “effetto Laffer”, la teoria per cui oltre un certo livello di imposizione il gettito tende a diminuire e abbassando le aliquote si ottiene il risultato opposto. Ma che effetto ha avuto finora, in concreto, la vantaggiosa imposta sostitutiva del 15%, che dal 2023 è stata estesa agli autonomi con ricavi fino a 85mila euro? La risposta dovrebbe interessare molto al governo, che – come ribadisce il sottosegretario Federico Freni parlando con Domani – spera ardentemente nei risultati del discusso concordato preventivo biennale per alzare ulteriormente l’asticella.

Santoro, nel capitolo dedicato alle “ricette falsamente miracolistiche” per risolvere il problema dell’evasione, nota che al momento “non esiste alcuna prova che l’introduzione del regime dei forfettari abbia avuto un impatto di qualsiasi tipo”. Stando alla Relazione sull’evasione 2024, pubblicata dieci giorni fa, nei primi anni di applicazione della tassa piatta del 15% (2015-2017) chi l’ha scelta evadeva “circa il 58% dell’imposta potenziale”, contro il 66,8% degli autonomi che hanno continuato a pagare l’Irpef. E in effetti tra 2016 e 2018 il reddito medio dei forfettari (proporzionale al fatturato dichiarato secondo percentuali variabili da settore a settore) “cresce del 16,7% contro l’11,3% di aumento del reddito dichiarato dai contribuenti in Irpef”. Dunque in quella prima fase, quando per aderire occorreva non superare un tetto di ricavi diverso a seconda del campo di attività e comunque non superiore a 50mila euro, il regime potrebbe aver avuto “un lieve impatto positivo sulla compliance fiscale”.

Ma quando, su richiesta della Lega, dal gennaio 2019 si è deciso di elevare la soglia di fatturato a 65mila euro e le partite Iva che hanno scelto l’opzione sono più che raddoppiate a 1,5 milioni, stando a una prima analisi è accaduto il contrario. A parlare sono le dichiarazioni dei redditi per 2019, 2020, 2021 e 2022, le ultime disponibili. Mentre il reddito medio dichiarato dagli autonomi e imprenditori individuali rimasti in Irpef è aumentato in quei quattro anni del 21,1%, i redditi dichiarati (indirettamente, perché vengono determinati in modo forfettario con coefficienti di redditività settoriali) da quelli passati al forfettario è aumentato solo del 17,7%. Il confronto “fa dubitare” che concedere a una platea più ampia di pagare di meno abbia fatto diminuire l’evasione, scrive Santoro.

Le precedenti relazioni della commissione evasione avevano peraltro documentato come molti contribuenti, per non rientrare nell’Irpef, nascondano fatturato in modo da non superare la soglia massima. “Per le classi di ricavi più elevate si osserva una riduzione di ricavi dichiarati del 6,6% per i contribuenti con ricavi compresi tra 40mila e 65mila euro, del 25,5% per i contribuenti con ricavi dichiarati compresi tra 65mila e 85mila euro e addirittura del 47,3% per i contribuenti con ricavi dichiarati da 85mila fino a 100mila euro”, spiegava la relazione 2023. Al momento, conclude Santoro, l’evidenza empirica non giustifica un’ulteriore estensione della flat tax sulla base di presunti effetti taumaturgici sull’emersione. Per non dire del fatto che il regime agevolato è una plateale violazione del principio di equità per cui contribuenti con lo stesso reddito dovrebbero essere tassati allo stesso modo.

La cautela si impone anche perché non è affatto garantito che la riduzione del tax gap stimata fino al 2021 stia proseguendo. Come ha raccontato ilfattoquotidiano.it, in una tabella del Piano strutturale di bilancio inviato a Bruxelles il governo Meloni parla esplicitamente di una “battuta d’arresto” nel miglioramento della fedeltà fiscale: nel 2023 la variazione della compliance netta risulta negativa per 8,18 miliardi. Vale a dire che l’evasione sarebbe aumentata di altrettanto.