Tra gli aumenti delle tasse inseriti nella prossima legge di bilancio c’è pure il forte incremento del prelievo sui guadagni ottenuti con la compravendita di criptovalute. Dal 2025 l’imposta balza dal 26 al 42% (nel caso la plusvalenza superi i duemila euro, raggiunti anche con più operazioni, ndr). Un trattamento fiscale sfavorevole rispetto a tutti gli altri tipi di investimenti finanziario. I titoli di Stato godono di un regime privilegiato, l’imposta sulle plusvalenze si ferma al 12,5%. Azioni, obbligazioni etc restano al 26%.
Facciamo un esempio. Nell’ultimo anno il valore del bitcoin è salito del 130%. Chi avesse investito 10mila euro il 18 ottobre del 2023, se ne troverebbe oggi in tasca 23.000, una plusvalenza di 13mila euro. Se oggi vendesse i sui bitcoin dovrebbe pagare allo stato 3.380 euro. Con la nuova aliquota del 42% già in vigore, l’esborso sarebbe invece di 5.460 euro. Una differenza importante. Le stime sugli italiani che hanno bitcoin in portafoglio parlano di 2,5 milioni di risparmiatori, per un controvalore degli asset posseduti di oltre 2,5 miliardi. Certo è che il numero è cresciuto ed è in crescita e, per l’Erario, questo diventa un piatto sempre più ricco a cui attingere (ammesso che le quotazioni continuino a salire). Una comunità che, in queste ore, si è fatta molto sentire sulla piattaforma, con appelli, lettere aperte e persino una richiesta ad Elon Musk affinché interceda presso “l’amica” Giorgia Meloni.
Sono però molte le perplessità su questo intervento. Ci sono valutazioni, di carattere giuridico, che riguardano un trattamento palesemente discriminatorio nei confronti di un particolare asset. Elemento che potrebbe essere oggetto di impugnazione e ricorsi. È vero però che, negli anni scorsi, la differenziazione tra titoli di Stato e altri asset non è stata censurata dagli organi giudiziari. Al di là di questo è abbastanza ovvio che la misura spingerebbe molti possessori di bitcoin a venderli entro fine 2024, prima che scatti la nuova aliquota. Stando a quel poco che si sa, inoltre, l’aggravio del prelievo non riguarderebbe Etp ed Etn sui bitcoin, creando una differenza di aliquote ancora più arbitraria.
Anche alla luce di queste considerazioni, ci spiega l’analista ed esperto di criptovalute Stefano Bargiacchi, c’è la speranza che il governo faccia marcia indietro. “Il sospetto tra gli addetti ai lavori, spiega, è che si tratti di una specie di esperimento. Se dovesse avere successo e non incontrare eccessive opposizioni, potrebbe essere esteso anche ad altri asset”. Se la misura dovesse essere confermata, al piccolo risparmiatore, ragiona Bargiacchi, si offrono tre strade. “La prima è quella di disinvestire entro fine anno dalle criptovalute per spostarsi su Etp ed Etn agganciati a bitcoin etc. La seconda, sempre sconsigliabile, è quella di non dichiarare le plusvalenza. La terza è uscire del tutto da questo tipo di investimento”. Gli investitori più grandi e strutturati potrebbero semplicemente spostare i loro investimenti in cripto in altre giurisdizioni.
L’incremento del prelievo, aggiunge l’esperto, sarebbe però penalizzante per tutto l’ecosistema italiano, incluse start up e imprese, che ruota intorno a questo settore. “L’Italia diventerebbe meno attrattiva, probabilmente assisteremmo ad una fuga di cervelli e competenze verso paesi che lo sono di più “