È un periodo di addii, che costano e costeranno molto, per il Movimento No Tav. Domenica scorsa abbiamo ricordato Alberto Perino al Palanotav di Bussoleno. C’erano Dana Lauriola e Nicoletta Dosio, c’erano tante persone che hanno vissuto in prima linea le battaglie contro l’alta velocità di questi anni, in un momento in cui la valle è nuovamente sotto attacco, in forme raramente viste quanto a militarizzazione – stavolta dell’area tra San Giuliano e Susa.
Quando Alberto è mancato ero a Cagliari e la notizia mi è stata data da una collega che si occupa di Turchia al convegno della Società italiana di studi sul Medio Oriente. Questo per dire che la notizia è risuonata ovunque e in ogni ambito, perché Alberto ha incarnato molte caratteristiche del Movimento No Tav, molte di quelle che hanno davvero impressionato, sorpreso e fatto sperare la parte migliore dell’Italia attorno al 2005 e al 2011.
La sera stessa del resto, in un locale sempre a Cagliari, un ragazzo cresciuto ben lontano dalla Val Susa mi ha confessato di aver provato la sensazione di aver capito solo ora, con la sua scomparsa, quanto Alberto è stato importante, quanto ha fatto la differenza, quale sarà la differenza senza di lui.
Alberto era malato da tempo. Credo si possa dire che ha vissuto una vita notevole. La prima volta che l’ho visto l’ho detestato – era il 2004 credo, eravamo in bassa valle a un’azione contro uno studio geognostico pre-trivellazione. L’avevo visto parlare con un maresciallo dei carabinieri della zona. L’ho riferito ai miei compagni del tempo, e la risposta di chi era più interno a quell’attivazione è stata: “Non ti preoccupare, qui tutti sanno chi è, a volte ha atteggiamenti un po’ fastidiosi, ma è una figura di cui non si può fare a meno”. All’epoca per me aveva contato un solo imperativo: non si parla con i carabinieri. Non sapevo che, invece, quella sopportazione reciproca tra persone che la pensavano diversamente su questa e altre cose sarebbe in breve diventata collaborazione, poi comprensione reciproca, poi apprendimento reciproco, poi alleanza, infine vera amicizia politica – un elemento che sembra aver preoccupato, tra gli altri, proprio i vertici delle forze dell’ordine.
Va detto che nel tempo il contrasto con polizia e carabinieri sarebbe diventato per il movimento, ahimè, più concreto, e Alberto stesso ha conseguentemente mutato la sua precedente percezione a questo riguardo. È inevitabile: le astrazioni si superano con l’esperienza. Per l’intera valle è stato così: da quelle parti, un’opinione diffusa non proprio lusinghiera sulla cultura e sulle azioni di certi apparati dello stato è fondata sull’esperienza vissuta, non sull’ideologia.
E’ stato questo incontro inedito, e finora ineguagliato in Europa, tra persone che vengono da esperienze diverse e si immergono in un’esperienza comune; questo incrocio solidale tra anime culturali diverse dell’opposizione al modo capitalistico di devastazione che si è prodotta la sorpresa No Tav nello scenario italiano. Una bella sorpresa per molti e per noi direttamente coinvolti in quegli anni, ma anche una brutta sorpresa per chi intendeva e intende lucrare su un progetto nocivo per l’ambiente e le persone e inutile per i commerci. Non a caso si è creato un braccio di ferro decennale, lungi dall’essere concluso, tra il movimento e chi ha creato dal 2011 una strategia di occupazione militare del territorio e forme di spionaggio, sorveglianza e repressione giudiziaria che hanno cambiato l’intera storia istituzionale dell’area metropolitana di Torino, benché le redazioni de La Stampa e de La Repubblica si rifiutino da quindici anni di raccontarlo.
Ancora c’è molto da fare sul piano della comprensione e dell’apprendimento su quanto è stato fatto, ottenuto, elaborato in Val Susa dal lato del movimento. Il movimento ha avuto in Alberto un punto di convergenza e rifrazione fondamentale. Non l’unico, chiaro; ma benché sia importante evitare di ripescare una visione della storia fatta di leader e condottieri, sarebbe altrettanto limitante impedirsi di riflettere su personalità che, per virtù e per fortuna, hanno avuto un ruolo innegabile e particolare. Alberto è una di queste figure, su cui riflettere e costruire ragionamenti, e itinerari di ispirazione, da adesso in poi; sottraendolo al semplice ricordo, qualora ve ne fosse il rischio.
Dovremo discutere e ragionare verso la comprensione critica della sua azione, del suo modo, del suo linguaggio, delle sue idee per non perdere un’eredità utile alla costruzione di lotte sempre più urgenti e necessarie. Sono state le idee e gli stili, in gran parte, che hanno contribuito in maniera decisiva alla rarissima congiunzione di partecipazione di massa e radicalizzazione politica, in un luogo dell’Europa, in un’epoca che possiede una scienza triste ma piuttosto raffinata per impedire queste cose. Nonostante questa scienza, queste cose avvengono. Avvengono anche grazie a figure eccezionali e irripetibili come Alberto. La buona notizia è che altre sempre ne arriveranno, altrettanto eccezionali e irripetibili “a modo loro”, come è stato lui.