“Ho vinto i Mondiali due volte. Lo schema è sempre lo stesso: se vinci, gioisci in quel giorno. Il giorno dopo ci sono spettacoli di esibizione, esulti. Poi torni a casa, l’allenatore ti mette sul ghiaccio e ti dice: ‘Non sei nessuno. Non sei proprio nessuno. Sei solo un’atleta. Lascia lì la tua medaglia e ficcatela su per il c**o‘”. Una carriera stroncata sul nascere – nonostante due medaglie d’oro ai Mondiali vinti e due argenti alle Olimpiadi invernali di Pyeongchang nel 2018 – per colpa di un trattamento irrispettoso nei suoi confronti. Una disciplina spartana e umiliante che ha portato la pattinatrice artistica russa Evgenia Medvedeva (tra le altre cose) a ritirarsi a soli 22 anni, per rimanere lontana dai riflettori. E il momento peggiore arrivava dopo ogni vittoria: “‘Cosa, una stella? Non sei neanche una dannata stella. Hai le Olimpiadi davanti, vai a lavorare‘. E questo è sempre: ‘Non sei nessuno, non sei nessuno’. Sai quanto era offensivo in quel momento? Come fa male? Cosa vuol dire che non sono nessuno?”. Tanti sacrifici per poi sentirsi continuamente insultata. Secondo l’ex atleta russa, però, un comportamento che solo anni dopo è riuscita a comprendere: “Eccomi qui: ho una medaglia, un record mondiale. Solo ora comincio a capire che, a quanto pare, allora mi avevano detto tutto correttamente. Ciò non significava che non fossi nessuno. Ciò significa che se capisco cosa farne, diventerò qualcuno in futuro”.
Gli allenatori spietati
Nella sua tanto breve quanto vincente carriera, hanno fatto discutere gli spietati metodi di allenamento riservati a Evgenia Medvedeva. Due, in particolare: prima la celebre Eteri Tutberidze – conosciuta per il suo pessimo modo di rivolgersi alla pattinatrice dopo il crollo alle Olimpiadi di Pechino nel 2022 – poi, il canadese Brian Orser e ancora la Tutberidze.